David Graeber, The utopia of rules
Melville House, 274 pagine, 25 euro
Se qualcuno – usando una parola imbarazzante – vi promette una “sburocratizzazione”, non credetegli. Anche se fosse in buona fede non potrebbe riuscirci a causa di quella che David Graeber chiama la ferrea legge del liberalismo: “Più una riforma del mercato o un’iniziativa di governo affermano di voler liberare la società dalla burocrazia e promuovere le forze del mercato e più avranno il risultato di accrescere il numero di regolamenti, di scartoffie e di burocrati”. Questo paradosso – in apparenza poco più di una battuta – è il punto di partenza di una riflessione su ciò che impedisce la nostra felicità sociale: l’alleanza tra stato e mercato, l’unione tra la minaccia della violenza e la capacità di renderla invisibile, la combinazione di negazione del diritto e disumanizzazione.
In sintesi, quella caratteristica del nostro tempo che l’antropologo anarchico chiama “burocratizzazione totale”. Secondo Graeber, è questo il nome di quella fusione di pubblico e privato che ci ha reso “clienti” di scuole e ospedali e che ci fa pagare “multe” e “tasse” alle banche. Accettando di riempire moduli perdiamo di vista il nostro obiettivo originario, lasciamo che ci impongano una realtà che ci ingabbia e che converte la nostra creatività ad altri fini. Fino agli anni settanta la sinistra lo sapeva ed era antiburocratica, poi lo ha dimenticato e le cose hanno sono peggiorate.
Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2015 a pagina 88 di Internazionale, con il titolo “Fuori modulo”. Compra questo numero | Abbonati
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