Juan Villoro, La piramide
Gran Vía, 240 pagine, 15 euro
È uno dei romanzi più belli e intriganti di questa stagione, di uno scrittore messicano che non a caso è stato amico e sodale di Roberto Bolaño. La base è da noir, l’ambiente da fantascienza sociologica anni cinquanta oggi divenuta realtà, ma nel grande albergo caraibico che ne è la scena incontriamo un bestiario tipico del nostro tempo feroce.
Di più, esso si nutre di rock, e ha per protagonisti due e più reduci dalla stagione (minore) del rock latino, che si confrontano con ossessioni e fallimenti (con echi da Sotto il vulcano) dentro un’organizzazione internazionale che gestisce hotel per turisti preferibilmente gringos, stanchi della banalità della propria esistenza e vogliosi di vacanze eccitanti, tra finti guerriglieri e in una wilderness addomesticata.
Due i protagonisti, ex della stagione del rock, il narratore zoppo e il suo alter ego dirigente del grande albergo che è anche la base di traffici criminali. Intorno a un risibile sconfitto e alla sua anima nera, dentro una trama tesissima, incontriamo personaggi molto marcati da cui si distacca un gruppo di quasi monache che pratica la difesa e autodifesa delle donne, prime vittime di questo assurdo presente. È su una insolita sacra famiglia che, dopo misteri e rivelazioni, questo romanzo vasto quanto profondo si chiude, aprendosi a esili e dubbiose speranze.
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