A metà febbraio in Nigeria ci saranno le elezioni, e per quanto possa sembrare strano al centro della campagna elettorale non c’è solo Boko haram. I terroristi islamici uccidono 500 persone al mese, ma la maggioranza dei nigeriani sembra considerare Boko haram come un problema tra i tanti, una questione meramente locale.

Nelle tre province nordorientali del paese, dove Boko haram intende costituire un califfato sul modello dello “Stato islamico” in Iraq e Siria, la gente ha davvero paura del terrorismo. Questo sentimento si sta diffondendo nel resto del nord del paese, anche perché il 28 novembre Boko haram ha attaccato la moschea centrale di Kano, la più grande città del nord, uccidendo almeno cento persone.

Tuttavia nel resto del paese la minaccia terrorista non è la priorità politica, e nel dibattito elettorale non si parla molto della totale incompetenza e della scandalosa inerzia del governo del presidente Goodluck Jonathan nell’affrontare il problema.

L’ascesa di Boko haram è avvenuta interamente sotto Jonathan, che non ha mai dato l’impressione di voler davvero affrontare i terroristi. Il presidente ha alzato la voce dopo che l’organizzazione ha preso di mira la capitale Abuja, ma non ha fatto nulla di concreto. Ha lasciato che a occuparsi del problema fossero l’esercito e i suoi alleati del nord, gli emiri feudali che dominano ancora la politica locale.

I potenti del nord sono riusciti a conservare il controllo della regione perché la popolazione è molto più ignorante e povera rispetto a quella del sud. Per giustificare la loro ricchezza e i loro privilegi politici, gli emiri hanno sempre sfruttato il loro ruolo religioso. Quando negli anni novanta i riformatori hanno cominciato a criticarli da una posizione islamica radicale, gli emiri hanno provato a rubargli la scena introducendo la sharia in tutto il nord.

Ma questo non ha placato la crescente opposizione islamica al potere degli emiri. Questa è sfociata nella violenza nel 2009 con i primi attacchi di Boko haram, che nonostante l’estrema crudeltà continua a essere sostenuto in tutto il nord dai musulmani osservanti e dai più oppressi. L’esercito, come sempre, non ha fatto niente di utile.

L’attacco alla moschea centrale di Kano è un’eloquente dimostrazione di questi contrasti. L’edificio si trova sulla piazza principale, accanto al palazzo dell’emiro Mohammed Sanusi II, che spesso frequenta la moschea. Naturalmente l’emiro invita la popolazione a resistere a Boko haram, ma allo stesso tempo raccomanda di non affidarsi all’esercito perché è inutile. Secondo Sanusi gli abitanti dovrebbero organizzarsi e difendersi da soli, perché non bisogna fidarsi dei soldati. “Se la gente scappa dai villaggi perché l’esercito non è arrivato”, ha dichiarato l’emiro, “i terroristi sono liberi di massacrare i nostri bambini maschi e rapire le femmine per trasformarle in schiave”.

L’esercito nigeriano è accusato di corruzione, brutalità e perfino di vigliaccheria. È raro che i soldati affrontino direttamente Boko haram, ma spesso sparano sulla folla che si raduna dopo gli attacchi dei terroristi per protestare contro l’incapacità del governo di proteggerli. L’esercito nigeriano ha sparato sulla folla anche la settimana scorsa dopo la strage di Kano, e nessuno si è indignato. Nessuno è rimasto sorpreso.

È in questo modo che il governo ha perso il controllo dello stato di Borno (fatta eccezione per la capitale Maiduguri) e di grandi aree degli stati di Yobe e Adamawa. La stessa Maiduguri, che ha circa due milioni di abitanti, potrebbe cadere prima delle elezioni.

In simili circostanze ci si aspetterebbe che il governo federale, a cominciare dal presidente, fosse sotto assedio per la sua incapacità di agire concretamente contro Boko haram. Invece le cose stanno diversamente.

Due anni fa i quattro maggiori partiti di opposizione si sono uniti per formare l’All progressives congress (Apc), creando la prima vera forza d’opposizione al People’s democratic party (Pdp) di Jonathan dalla fine della dittatura nel 1999. Tuttavia la spinta dell’Apc si sta progressivamente esaurendo con l’avvicinarsi delle elezioni. All’inizio il partito ha accolto importanti dissidenti del Pdp, che però hanno portato con sé la loro reputazione di corrotti.

A monopolizzare l’attenzione della classe politica è dunque la nuova lotta di potere nella capitale, non gli inquietanti sviluppi del nordest, perché l’esito delle elezioni di febbraio sarà fondamentale per stabilire chi potrà arricchirsi a piacimento nei prossimi quattro anni.

Le aspettative degli elettori sono talmente basse che nessuno si stupisce davanti all’ipotesi secondo cui Jonathan non avrebbe combattuto energicamente Boko haram perché gli stati del nordest avrebbero votato contro di lui alle elezioni. Se invece ci sarà abbastanza caos, nella regione le elezioni potrebbero essere cancellate.

Mentre la banda continua a suonare, la Nigeria scivola inesorabilmente verso la guerra civile e la disintegrazione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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