“Ogni volta che le telefono, mia madre mi rimprovera: ‘Quando la smetterai di parlare male di Putin? Guarda che quello ti ammazza!’”, aveva dichiarato recentemente il leader dell’opposizione russa Boris Nemtsov.
Ora Nemtsov è morto, ucciso con quattro pallottole mentre camminava verso il suo appartamento di Mosca insieme alla sua ragazza, la sera del 27 febbraio. La manifestazione di protesta contro Putin e la guerra in Ucraina che Nemtsov avrebbe dovuto guidare il 1 marzo si è trasformata in un corteo funebre.
Due domande sorgono spontanee. Davvero Vladimir Putin ha ordinato l’omicidio di Nemtsov? E se non è stato lui, chi è stato?
L’azione è chiaramente opera di professionisti che hanno agito a pochi metri dalla piazza Rossa, dalla cattedrale di San Basilio e dal Cremlino, in una zona presidiata notte e giorno dalla polizia, sempre pronta a sciogliere qualsiasi manifestazione. Se montassimo le riprese delle innumerevoli telecamere a circuito chiuso che hanno registrato la camminata di Nemtsov attraverso la piazza e fino al ponte dove è morto, ne verrebbe fuori un lungometraggio.
Di sicuro ci sono voluti un accurato lavoro di intelligence per scoprire il percorso di Nemtsov e una pianificazione dettagliata per ucciderlo in un’area così controllata. Tutto lascia pensare al coinvolgimento dell’esercito o delle forze di sicurezza, anche se non è detto che gli assassini abbiano eseguito un ordine ufficiale. Anche perché la morte di Nemtsov non è affatto utile per Putin.
Ovviamente il presidente russo disprezzava Nemtsov, che però (come qualsiasi altro leader dell’opposizione) non rappresentava una reale minaccia per il Cremlino. Grazie all’annessione della Crimea e all’intervento militare in Ucraina orientale, infatti, Putin ha attualmente un indice di gradimento dell’85 per cento. Perché rischiare di compromettere questo idillio con l’opinione pubblica uccidendo un importante politico alla luce del sole e per la prima volta negli ultimi dieci anni?
Molto più probabile che l’omicidio sia stato compiuto da soldati o agenti (in servizio o già congedati) che hanno deciso autonomamente di eliminare un “nemico della patria” che aveva osato condannare “la guerra di Putin” in Ucraina. Nel contesto dell’atmosfera nazionalistica e paranoica che domina la Russia di oggi è facile pensare che qualcuno possa aver pensato di fare la volontà di Putin.
Il presidente russo è troppo intelligente per volere qualcosa di simile, e ha immediatamente condannato l’omicidio definendolo “vile e cinico”. La scelta della parole appare abbastanza curiosa. Passi per il “vile”, ma perché “cinico”? La risposta è arrivata quando diversi alti funzionari del regime hanno insinuato che l’omicidio di Nemtsov possa in realtà essere una “provocazione” dei servizi segreti occidentali o addirittura di altri esponenti dell’opposizione, che lo avrebbero ucciso per alimentare il dissenso e infangare la reputazione della Russia.
La verità è che la morte di Nemtsov non avrà alcun impatto permanente sulla politica interna ed estera della Russia. Nel paese la paranoia è ormai talmente radicata che i sostenitori di Putin (ovvero la maggioranza della popolazione) crederanno all’assurda storia della provocazione o saranno addirittura felici che il loro presidente abbia agito con fermezza per proteggere la Russia dai suoi nemici.
Intanto il resto del mondo (o almeno la sua parte occidentale) ha già stabilito che Putin non è un uomo con cui si può discutere. Agli occhi di molti occidentali il presidente russo è un dittatore con mire espansionistiche che può essere arginato solo attraverso le sanzioni e le minacce, e forse ci vorrà un’altra guerra fredda per fermarlo. La paranoia, purtroppo, è una malattia contagiosa.
Ci sono molti buchi nella narrativa con cui gli occidentali cercano di spiegare come siamo arrivati, in meno di un anno, al punto in cui gli Stati Uniti pensano di fornire armi pesanti all’Ucraina per uccidere soldati russi. Innanzitutto nessuno ricorda che l’anno scorso, la rivoluzione di Maidan a Kiev ha rovesciato un presidente democraticamente eletto quando mancava meno di un anno alle elezioni successive.
Putin aveva inizialmente accettato la soluzione (con le elezioni posticipate di un mese) che era stata mediata dall’Unione europea. In altre parole, aveva accettato il rovesciamento del presidente filorusso Viktor Janukovič a patto che fossero rapidamente organizzate elezioni libere, probabilmente perché pensava che i sostenitori di Janukovič nelle province orientali potessero riconsegnargli la presidenza.
Potrebbe essere stata la stessa convinzione a spingere i rivoluzionari di Kiev a rompere gli accordi e a pretendere l’immediato allontanamento di Janukovič dal potere. È solo allora che Putin si è coinvinto di essere alle prese con un complotto occidentale per far entrare l’Ucraina nella Nato e creare una minaccia strategica e politica ai confini della Russia.
In realtà non c’era nessun complotto: la Nato non ha la minima intenzione di accollarsi la responsabilità di difendere l’Ucraina. Tuttavia l’occidente ha festeggiato apertamente la sconfitta della Russia, spingendo Putin a perdere la sua tradizionale calma e a rispondere annettendo la Crimea e incoraggiando i ribelli filorussi nell’Ucraina sudorientale.
“Il potere assoluto corrompe in modo assoluto”, scrisse lord Acton. “Tutti i grandi uomini sono malvagi”. In questo senso Putin è un uomo malvagio e tanto più pericoloso in quanto paranoico e sempre più isolato (la sua cerchia di consiglieri si è ridotta a un pugno di falchi). Ma la verità è che non ha alcuna intenzione di conquistare l’Ucraina, figuriamoci il resto dell’ex impero sovietico. E quasi certamente non ha ordinato l’omicidio di Boris Nemtsov.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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