“Ho ancora il mio lavoro di tutti i giorni”. Così Barack Obama ha sottolineato le grandi difficoltà del suo mandato nel tentativo disperato, e per molti versi vano, di perorare la causa della sua rielezione. L’Egitto e la Siria esplodono, l’Iran trama, l’Europa precipita.
Proprio quest’ultima catastrofe, che minaccia di contagiare la stentata ripresa americana, è in cima ai pensieri di Obama nei giorni del G20 in Messico. Ed è anche la parte del suo “lavoro di tutti i giorni” che probabilmente avrà il maggiore impatto sulla campagna elettorale. Ma su questo Obama non può fare molto.
Mitt Romney, che non ha altra responsabilità se non quella di attaccare a testa bassa, ha provato a scaricare sul suo avversario la colpa dei mali dell’Europa, nella speranza di farlo colare a picco come un blocco di cemento. Finora il presidente non è riuscito a dare al paese una spiegazione convincente della minaccia europea né a spiegare quale sia la sua visione dell’economia, perciò ha scelto una risposta tutta politica.
Obama ha chiuso la bocca a Romney con l’ordine esecutivo di sospendere il rimpatrio forzato dei giovani immigrati irregolari, in gran parte provenienti dalla comunità latinoamericana e quindi potenzialmente in grado di decidere le elezioni. Romney, che durante le primarie repubblicane aveva tenuto una linea molto dura contro l’immigrazione clandestina, non ha saputo come rispondere.
*Traduzione di Fabrizio Saulini.
Internazionale, numero 954, 22 giugno 2012*
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