Secondo uno studio cinese che ha coinvolto 103 persone contagiate, pubblicato sulla National Science Review, esistono due ceppi del nuovo coronavirus e si stanno diffondendo in tutto il mondo. Ma l’Organizzazione mondiale della sanità insiste sul fatto che “non ci sono prove che il virus stia cambiando”. Quindi quante varietà ci sono e perché è importante saperlo?
I virus mutano continuamente, soprattutto quelli a Rna (cioè quelli il cui materiale genetico è formato da Rna e non da dna) come il coronavirus Sars-CoV-2. Quando una persona è infettata dal virus, questo si replica nel tratto respiratorio. Ogni volta che succede, si verificano alcune mutazioni genetiche, spiega Ian Jones dell’università di Reading, nel Regno Unito.
Quando l’équipe di Xiaolu Tang, dell’Università di Pechino, ha studiato il genoma virale prelevato da 103 persone contagiate, ha trovato mutazioni ordinarie in due tratti del genoma. Ha così identificato due tipi di virus in base alle differenze nel genoma in queste due regioni: 72 sono state considerate di “tipo L” e 29 sono state classificate di “tipo S”.
Un’analisi separata dell’équipe suggerisce che il tipo L deriva dal tipo S, che è più vecchio. È probabile che il primo ceppo sia emerso nel periodo in cui il virus è passato dagli animali agli esseri umani. Il secondo sarebbe emerso subito dopo, spiegano i ricercatori. Entrambi i tipi di virus sono coinvolti nell’attuale epidemia globale. Il fatto che il tipo L sia più diffuso suggerisce che sia “più aggressivo”, dice l’équipe, rispetto al tipo S.
“Sembra che ci siano due varietà”, afferma Ravinder Kanda della Oxford Brookes University, nel Regno Unito. “Il tipo L potrebbe essere più aggressivo nel trasmettere se stesso, ma non abbiamo ancora idea di come questi cambiamenti genetici sottostanti possano essere correlati alla gravità della malattia”.”Penso che sia un dato di fatto che ci sono due varietà”, afferma Erik Volz all’Imperial College di Londra. “È normale che i virus subiscano un’evoluzione quando vengono trasmessi a un nuovo ospite”.
È fondamentale sapere quanti ceppi di virus esistono. In tutto il mondo, più gruppi stanno lavorando a un vaccino per il virus. Qualsiasi vaccino dovrà mirare alle caratteristiche che si trovano in entrambi i ceppi del virus per essere efficaci.
Diversità genetica
Va considerato comunque che le differenze tra i due ceppi identificati sono minuscole. In realtà, secondo Jones, non possono davvero essere considerati “ceppi” separati: molte di queste differenze genetiche non influiscono sulla produzione delle proteine, e quindi non cambiano il modo in cui il virus funziona o i sintomi che provoca. Uno non è più mortale dell’altro.
“In termini pratici, il virus è com’era quando è emerso in origine”, afferma Jones. “Non ci sono prove che stia peggiorando”. Una valutazione simile a quella dell’Organizzazione mondiale della sanità. Lo studio di Tang e dei suoi colleghi suggerisce solo che esiste una certa diversità genetica del virus, non significa che stia cambiando, ha detto un funzionario dell’Oms a New Scientist. Ma non possiamo dirlo con certezza. Lo studio ha preso in esame solo 103 casi. Un database online più grande ha raccolto i risultati del sequenziamento di 166 casi. Entrambi rappresentano una goccia nell’oceano dei quasi centomila contagi segnalati ufficialmente.
Secondo Jones possiamo comunque aspettarci che emergano più ceppi. Gli epidemiologi generalmente concordano sul fatto che, una volta che una persona è stata infettata dal nuovo coronavirus, è improbabile che venga nuovamente infettata, a meno che il virus non muti per consentirgli di superare le difese del sistema immunitario.
Questa “pressione selettiva” potrebbe portare alla diffusione di un nuovo ceppo, afferma Jones. Un po’ come succede con l’influenza stagionale: ogni anno emergono nuove varianti che possono infettare le persone indipendentemente dal fatto che abbiano avuto o meno l’influenza in passato. Lo stesso schema potrebbe valere per il nuovo coronavirus nei prossimi anni, afferma Jones. “Non credo che sparirà presto”.
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