Ormai ci siamo rassegnati ad accettare il fatto che il valore monetario è l’unico parametro di valutazione che conta, e di conseguenza ogni cosa viene trattata come un bene di consumo. Negli ultimi decenni questo approccio si è imposto progressivamente, ma fino a qualche tempo fa c’erano ancora molte persone che lo rifiutavano vigorosamente. Oggi invece perfino quelli a cui il concetto fa venire il voltastomaco tendono ad adeguarsi passivamente, come se fosse normale.
Il vino, da sempre specchio del mondo, non sfugge a questa regola demoralizzante. Ormai è una bene di consumo, con marchi in competizione tra loro e analizzati in base al loro valore di indicatori finanziari e sociali. Una bottiglia di vino, oggi, è come una borsa di Gucci: l’originale costa una cifra ingiustificata, poi ci sono tutta una serie di imitazioni più o meno a buon mercato.
In una società che tratta il denaro come fosse la risposta a ogni domanda, è perfettamente logico che l’atto di acquistare sia l’azione più significativa di cui un individuo può essere capace. Non pensare, amare o essere. Comprare. L’inevitabile conseguenza è che il nostro acquisto ha un significato soltanto in relazione alla nostra personale soddisfazione. Ed ecco che il circolo vizioso narcisistico si chiude.
Compriamo vino soltanto per il piacere di berlo e per l’effetto collaterale sociale che l’etichetta – e il suo costo – hanno sugli altri. Consideriamo il vino come un feticcio, e ascoltiamo presunti esperti che ci spiegano quali sono i vini buoni basandosi esclusivamente sul prezzo e sul gusto (il loro gusto o quello dei titani dell’industria a cui obbediscono fedelmente). Un sogno del libero mercato che si avvera.
Eppure il vino, dai tempi di Omero e della bibbia fino a pochi decenni fa, ha avuto un ruolo molto diverso. Bere vino era prima di tutto un atto di cultura. Agricoltura e cultura condivisa, sociale.
Un tempo guardavamo al vino come all’avanguardia dell’attività agricola, fondamentale per la comprensione del mondo. La provenienza del nostro cibo (e delle nostre bevande) era l’elemento principale della nostra vita, e dopo tutto la maggior parte delle guerre sono scoppiate da una minaccia reale (o percepita) all’approvvigionamento di cibo. Il lavoro dei viticoltori era seguìto con grande attenzione, dai ricchi come dai poveri, e l’agricoltura era considerata un’attività umana imprescindibile e forse la più nobile tra tutte.
La rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo ha cambiato l’equilibrio del potere economico, e negli ultimi 150 anni abbiamo assistito a un’erosione progressiva dell’attività agricola. La percentuale di lavoratori agricoli in Francia e Italia, per esempio, è passata da oltre la metà della popolazione nel 1900 al 20 per cento del 1970, e oggi si ferma al 3 per cento. Non c’è da stupirsi, dunque, se non pensiamo più all’agricoltura quando si parla di vino.
Ma la verità è che il vino resta un prodotto agricolo. Che sia francese, italiano, americano o brasiliano, il vino è forse l’indicatore più preciso di ciò che una terra è in grado di esprimere in termini di caratteristiche e tradizioni. Per questo dovrebbe essere (e storicamente lo è stato) un’espressione affidabile e duratura di ciò che accade nelle campagne (beviamo vini vecchi di cinquant’anni ma non mangiamo neppure il pane di cinque giorni).
Per migliaia di anni i popoli di Italia, Francia, Germania, Portogallo e Spagna sono stati consapevoli che ogni cento metri la natura può presentare colossali differenze, rispecchiate dalle caratteristiche dell’uva. I secoli hanno insegnato agli agricoltori e agli abitanti delle città che la trasformazione magica del succo d’uva in vino è una trasformazione dell’agricoltura pura in cultura, in tutti i suoi aspetti.
Il vino è infatti l’espressione delle capacità di un artigiano, un uomo che sa plasmare, in parte, la natura a sua immagine. Il viticoltore è il cugino di campagna di tutti gli artisti che scrivono, dipingono, filmano, ballano e scrivono musica, e per questo motivo il vino è una specie di museo vivente, il testamento di uno specifico pezzo di terra. Il tempo e le piante racchiudono la storia, la cultura e le pratiche sociali di ogni regione e sottoregione.
La meraviglia del vino sta nella sua capacità di cavalcare l’agricoltura e l’arte. E, insieme al suo effetto inebriante, ha contribuito per ottomila anni a creare una società più civile. Ma oggi, quando condividiamo una bottiglia di vino, sappiamo ancora da dove viene e perché?
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