Diffondendosi da un paese all’altro, il covid-19 non ha badato alle frontiere nazionali né a nessun grande muro costruito lungo il confine. Né tantomeno è stato possibile contenerne le ricadute economiche. Com’è stato chiaro fin dall’inizio, la pandemia è un problema globale che richiede una soluzione globale. Nelle economie avanzate, la compassione dovrebbe bastare a giustificare una risposta multilaterale. Ma un intervento globale è anche una questione d’interesse egoistico. Finché il nuovo coronavirus imperverserà nel mondo, sarà una minaccia per tutti. Le conseguenze sulle economie dei paesi emergenti hanno appena cominciato a manifestarsi.
Ci sono buone ragioni per ritenere che questi paesi saranno devastati dalla pandemia molto più delle economie avanzate. Spesso nelle zone a basso reddito le distanze tra le persone sono più ravvicinate. Molti soffrono di problemi di salute preesistenti che li rendono più vulnerabili e i sistemi sanitari sono ancora meno preparati a gestire una pandemia rispetto a quelli delle economie avanzate (dove non tutto è filato liscio, anzi).
Un rapporto del 30 marzo della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) ci offre una panoramica di quello che succederà alle economie emergenti. Le più dinamiche hanno puntato sulla crescita guidata dalle esportazioni, che però ora crolleranno per la contrazione dell’economia globale. Anche i flussi d’investimento stanno precipitando, così come i prezzi delle materie prime, il che preannuncia tempi duri per i paesi esportatori di risorse naturali. Questi sviluppi si vedono già nei tassi elevati del debito pubblico dei paesi emergenti. Per molti governi sarà impossibile rinnovare i debiti in scadenza quest’anno a condizioni ragionevoli. Per di più, i paesi in via di sviluppo hanno meno alternative su come affrontare la pandemia. Quando la gente vive alla giornata senza protezioni sociali, perdere il reddito può significare morire di fame. Sfortunatamente, però, questi paesi non possono seguire l’esempio degli Stati Uniti, che hanno varato un piano da duemila miliardi di dollari.
La ristrutturazione del debito dovrà essere una priorità quando ci sarà la resa dei conti dopo la pandemia
Il 26 marzo, dopo un vertice d’emergenza, i leader del G20 hanno emesso un comunicato in cui si sono impegnati a “fare tutto il necessario” per ridurre il danno economico. Ci sono almeno due cose che si possono fare per affrontare la terribile situazione delle economie emergenti. In primo luogo, vanno sfruttati i diritti speciali di prelievo (Dsp) del Fondo monetario internazionale, una forma di “denaro globale” che l’istituzione è stata autorizzata a creare alla sua fondazione. I Dsp si basano sull’idea che la comunità internazionale debba avere uno strumento per aiutare i paesi più bisognosi senza gravare sui bilanci nazionali. Un’emissione standard di Dsp – con il 40 per cento dei fondi destinati alle economie emergenti – farebbe un’enorme differenza. Ma sarebbe ancora meglio se le economie avanzate come gli Stati Uniti prestassero i loro Dsp a un fondo fiduciario dedicato ai paesi più poveri. È prevedibile che chi concederà i prestiti imporrà alcune condizioni.
Un altro punto fondamentale è che i paesi creditori annuncino una sospensione del debito delle economie in via di sviluppo. Per capire perché è così importante, prendiamo il caso dell’economia americana. A marzo il dipartimento statunitense per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano ha annunciato che per sessanta giorni non ci sarebbero stati pignoramenti sui mutui assicurati a livello federale. La misura fa parte di una “sospensione” generalizzata dell’economia statunitense. I lavoratori stanno a casa, i ristoranti sono chiusi e le compagnie aeree sono ferme. Perché i creditori dovrebbero continuare ad accumulare rendite? Se i creditori non fanno la loro parte, molti debitori emergeranno dalla crisi con una quantità di debiti che non saranno in grado di ripagare.
La sospensione è importante sia a livello internazionale sia nazionale. Molti paesi non possono far fronte ai propri debiti: in assenza di una sospensione globale del rimborso del debito, il rischio è quello di una serie di insolvenze a catena. In molte economie in via di sviluppo ed emergenti, la scelta dei governi è tra pagare i creditori stranieri o lasciar morire i cittadini. Quindi la vera scelta per la comunità internazionale è tra una sospensione ordinata e una sospensione disordinata. Quest’ultima, inevitabilmente, si tradurrebbe in turbolenze per l’economia globale.
Sarebbe ancora meglio se avessimo un meccanismo istituzionalizzato per la ristrutturazione del debito pubblico. Forse è tardi per creare subito un sistema di questo tipo. Ma ci saranno altre crisi, quindi la ristrutturazione del debito dovrà essere una priorità quando ci sarà la resa dei conti dopo la pandemia. John Donne disse: “Nessun uomo è un’isola”. Lo stesso vale per qualsiasi paese, come la crisi del covid-19 ha dimostrato. Se solo la comunità internazionale tirasse la testa fuori dalla sabbia.
(Traduzione di Fabrizio Saulini)
Questo articolo è uscito sul numero 1353 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati
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