Da quando è stato scoperto il petrolio nel paese, negli anni trenta del novecento, l’Arabia Saudita è stata un importante snodo per gli interessi occidentali nella regione mediorientale.

Quasi un secolo più tardi, il re Salman bin Abdulaziz lascerà il trono. Senza dubbio il suo erede vedrà questo ruolo cardine erodersi gradualmente con le trasformazioni del mercato energetico globale. Dato che gli Stati Uniti non dipendono più dal petrolio saudita né da quello del Medio Oriente in generale, il rapporto speciale con Washington sarà declassato, lasciando Riyadh esposta ai rischi regionali e internazionali.

Sotto l’amministrazione di Donald Trump la nuova leadership di Riyadh ha potuto tirare un momentaneo sospiro di sollievo, perché il presidente ha continuato a mantenere stretti rapporti con il principe ereditario Mohammed bin Salman, manipolando le sue paure e i suoi timori, e sostenendo il suo frenetico acquisto di armi. Il principe ha capito che avrebbe potuto farla franca sempre, perfino se avesse commesso un omicidio, cosa che poi ha realmente fatto.

Quando Mohammed bin Salman ha ordinato l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi a Istanbul nel 2018, Trump lo ha ripagato affermando: “Il principe poteva benissimo essere al corrente di questo tragico evento. Forse lo era, forse no”. Queste parole sono state una benedizione per il principe ereditario. Ma Trump è andato anche oltre, aggiungendo: “In ogni caso, la nostra relazione è con il regno dell’Arabia Saudita. È stato un grande alleato nella nostra importantissima battaglia contro l’Iran. Gli Stati Uniti intendono restare saldi alleati dell’Arabia Saudita per tutelare gli interessi del nostro paese, di Israele e di tutti gli altri partner nella regione. È nostro obiettivo primario eliminare totalmente la minaccia del terrorismo in tutto il mondo”.

Osservando che l’Arabia Saudita è il maggior produttore di petrolio al mondo dopo gli Stati Uniti, Trump ha proseguito: “I leader sauditi hanno lavorato a stretto contatto con noi e sono stati molto sensibili alle mie richieste di mantenere a livelli ragionevoli i prezzi del petrolio. Intendo garantire che, in un mondo molto pericoloso, Washington persegua i suoi interessi nazionali e contrasti vigorosamente i paesi che vogliono farci del male. Molto semplicemente, si chiama ‘Prima l’America’”.

Lo sconclusionato discorso di Trump ha risuonato positivamente alle orecchie di Riyadh, dando il necessario conforto a un re assediato, con un figlio di una brutalità senza limiti. Ma questa sensazione di conforto potrebbe non durare a lungo dopo la scomparsa del re, che rischia di coincidere con un cambio di opinioni e sentimenti a Washington, in seguito alle elezioni presidenziali di novembre.

Niente è scontato
I mezzi d’informazione, la società civile e il congresso statunitensi si sono dimostrati meno accomodanti nei confronti di un principe che con i suoi crimini ha sconvolto il mondo. La magistratura statunitense sta affrontando il caso di un presunto tentato omicidio che non è riuscito a eliminare un’altra voce critica in esilio, quella di Saad al Jabri, un ex funzionario di primo piano dei servizi segreti vicino al deposto principe ereditario Mohammed bin Nayef. Al Jabri sarebbe stato il bersaglio di uno squadrone della morte di Bin Salman in Canada.

Dopo re Salman, forse l’Arabia Saudita non potrà più dare per scontato il sostegno incondizionato di un futuro presidente statunitense. E il regno non potrà neppure rivolgersi all’Europa, un altro blocco occidentale che storicamente ha assecondato i capricci di Riyadh senza opporsi ai suoi eccessi, interni e regionali.

Gli umori dell’opinione pubblica in Europa, con l’eccezione del Regno Unito, restano scettici sulla possibilità di continuare a offrire supporto al principe ereditario. Francia e Germania rimangono caute, mentre i loro elettorati potrebbero mettere fine allo storico silenzio nei confronti delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale di cui si è macchiato il regno. Entrambi i paesi esitano ancora a sostenere la brutale avventura saudita nello Yemen o ad avallare in pieno una posizione aggressiva contro Teheran, il nemico giurato di Riyadh.

E dopo le accuse all’ex re di Spagna Juan Carlos, che avrebbe ricevuto 100 milioni di dollari in tangenti dal defunto re Abdullah e che ha dovuto abbandonare il paese, c’è ancora meno tolleranza rispetto a un coinvolgimento incondizionato con il regno.

Gli umori dell’opinione pubblica in Europa restano scettici sulla possibilità di continuare a offrire supporto al principe ereditario

L’Arabia Saudita si troverà costretta ad alimentare rapporti più stretti con la Cina e la Russia. Ma è improbabile che il regno possa trovare nei due paesi degli alleati più forti e leali dei suoi storici partner in occidente. Le sue capacità militari restano legate ai produttori e ai programmi di addestramento occidentali, soprattutto statunitensi. Anche se il regno di Salman può comprare occasionalmente missili e tecnologie di sorveglianza dalla Cina, difficilmente riuscirà a passare interamente a un apparato militare cinese.

Altrettanto infondata è la speranza che la Russia sostituirà gli Stati Uniti come principale protettore dei sauditi. La disputa sui prezzi petroliferi tra Riyadh e il presidente russo Vladimir Putin all’inizio dell’anno ha creato le premesse per una relazione travagliata. Inoltre, il sostegno concreto della Russia a Teheran e il suo ruolo nel mondo arabo sono ben lontani dall’aspirazione saudita a contenere l’Iran e perfino a rovesciarne il regime.

Egemonia in discussione
Di fronte a un mondo islamico spaccato e polarizzato, il regno di Salman non sarà in grado di rivendicare la leadership sui paesi sunniti, che per tutta una serie di motivi stanno sempre più mettendo in discussione l’egemonia saudita.

Dal Pakistan all’Indonesia, sono pochi i leader che rispetteranno il successore al trono, un giovane principe ereditario sempre più associato a intrighi e omicidi, che potrebbe benissimo ritrovarsi in bancarotta al momento della morte di suo padre. La leadership saudita sul mondo sunnita senz’altro si ritroverà faccia a faccia con la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan e la sua ambizione di destituire gradualmente l’Arabia Saudita e minarne l’influenza.

Con meno dollari nelle casse saudite, un’economia duramente colpita dalla pandemia di nuovo coronavirus, un contesto ostile per i lavoratori musulmani, e le deportazioni sistematiche di migranti asiatici e africani, i musulmani di tutto il mondo sono sempre più diffidenti nei confronti della leadership saudita.

Storicamente, molti paesi consideravano l’Arabia Saudita una forza per la solidità, che preservava lo status quo e facilitava la stabilizzazione della regione araba. Tuttavia, gli aggressivi interventi diplomatici e militari sauditi nella regione (dall’Egitto allo Yemen al Bahrein) hanno messo in discussione questa antica opinione sul suo ruolo virtuoso.

Dal 2011 il regno si è guadagnato nuovi nemici tra gli attivisti arabi a favore della democrazia, le femministe e gli islamisti. Ma i suoi apostoli e apologeti occidentali hanno chiuso un occhio, fino a quando non si sono ritrovati di fronte al brutale omicidio di Khashoggi. Sia la guerra nello Yemen sia la diffusa repressione interna rappresentano una fonte di imbarazzo minima e sono messe in ombra da un’aggressiva campagna di pubbliche relazioni sostenuta da molte grandi società occidentali, mezzi d’informazione globali e alleati del regime.

Questa posizione di comodo potrebbe non durare dopo la morte del re, quando suo figlio prenderà il trono e diventerà l’uomo pericoloso di Riyadh.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Questo è il terzo di una serie di tre articoli sull’eredità del re Salman scritti dall’antropologa saudita Madawi al Rasheed su Middle East Eye. Qui il primo e il secondo.

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