La disuguaglianza è diventata, finalmente, un argomento di moda. Fino a poco tempo fa, quando tutti avevano tanto, a nessuno interessava; adesso che tutti hanno di meno e quelli che hanno meno stanno toccando il fondo, la disuguaglianza è sulla bocca di tutti.

Così mandrie di funzionari, politici, accademici e simili, che non hanno mai voluto l’uguaglianza, adesso si preoccupano perché la disuguaglianza è eccessiva: non va bene per il commercio, è pericolosa per le elezioni, fa una brutta impressione, può provocare disordini.

E questa preoccupazione ha riportato alla ribalta un nome: Gini, quello del coefficiente. Sembra una novità, ma in effetti esiste da oltre un secolo.

Realtà timida e opportunista

Il coefficiente di Gini misura la disuguaglianza di un paese su una scala da zero a uno (anche se permette di calcolare qualsiasi altra forma di distribuzione non uniforme). Si basa su un principio semplicissimo: se tutta la ricchezza del mondo fosse nelle mani di una sola persona, il mondo avrebbe un coefficiente pari a 1; se tutta la ricchezza del mondo fosse divisa in parti uguali, il coefficiente sarebbe 0.

La realtà, timida e opportunista, sta da qualche parte tra questi due estremi. Ma, in sintesi: più alto è il coefficiente, maggiore è il livello di concentrazione della ricchezza in poche mani, e maggiore è il livello di ingiustizia economica, di una società. Questo consente di fare molti tipi di misurazioni, e siccome parla di disuguaglianza, suona progressista.

Spesso usiamo nomi che ormai non sono più nomi. Diciamo diesel e McDonald’s senza pensare che ci sono stati uomini che hanno dato il loro nome a queste cose. Gini, nel suo piccolo, è uno di questi.

Corrado Gini era nato in Veneto nel 1884. Figlio di agricoltori benestanti, era un piccolo genio che riuscì a entrare molto giovane all’università di Bologna, studiò legge e matematica e si laureò, a vent’anni, con una tesi intitolata Il sesso dal punto di vista statistico; le leggi della produzione dei sessi. In seguito, insegnò diritto costituzionale, biometria, demografia, economia politica, sociologia e statistica.

Nel 1926 disse che bisognava favorire la nascita di bambini bianchi sani legittimi e molto cristiani

Era un uomo basso e irritabile, sicuro del suo valore e preoccupato che tutti lo riconoscessero, implacabile come superiore, ossequioso come sottoposto. Non aveva ancora compiuto 30 anni quando diede il suo grande contributo alla statistica: il coefficiente che porta il suo nome. Correva l’anno 1912, presto sarebbe arrivata la prima guerra mondiale – alla quale riuscì a scampare – e un matrimonio – abbastanza infelice – e poi negli anni venti, la rinascita: un certo Benito Mussolini restituì speranza e grandezza al suo paese.

Nel 1926, il duce in persona gli affidò la presidenza del neonato Istituto centrale di statistica. Gini accettò, emozionato per l’incontro con quel grande uomo, e nel suo discorso di insediamento parlò di un’altra delle sue preoccupazioni: l’egemonia della razza bianca, che considerava minacciata. “Dopo il meraviglioso sviluppo del secolo scorso, ora siamo in un periodo di stasi”.

Bisognava favorire la nascita dei bambini giusti: bianchi, sani, legittimi e molto cristiani. Quella disciplina si chiamava eugenetica e nazisti e fascisti la abbracciarono con entusiasmo. In Italia, Gini fu il loro portavoce. Durante gli anni in cui trionfava il fascismo, Gini rimase uno studioso serio e impegnato che faceva parte dell’élite culturale del regime: partecipava a manifestazioni pubbliche, firmava manifesti, dirigeva riviste, sistemava amici, consigliava il duce.

La caduta del regime non influì sulla sua vita più del necessario: fu processato ma alla fine mantenne la sua cattedra all’Università di Roma. Per rifarsi una reputazione entrò nel Partito unionista, che proponeva di annettere l’Italia agli Stati Uniti. E adesso, per una di quelle rare giravolte della storia, il suo nome e il suo coefficiente denunciano le più gravi ingiustizie. Che fare della vita orribile di quelli che producono le cose necessarie? Oppure: come soddisfare le necessità di quelli che vivono una vita orribile?

Ne discutono al tavolo nel loro paradiso paradossale, Céline, Pound, Keynes, Einstein. A volte, se si annoiano, invitano anche Gesù Bambino.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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