È di nuovo terrore a Parigi. Si contano i corpi riversi nelle strade. Amici e famiglie si chiamano convulsamente, si diffonde il panico. Un’intera nazione è sotto shock. Un anno che è cominciato con la tragedia di Charlie Hebdo si chiude con un altro attacco estremistico, persino più drammatico.

Mentre gli avvenimenti andavano avanti, con decine di morti in sparatorie ed esplosioni, era già ovvio che le conseguenze di queste azioni sarebbero state molto gravi per la repubblica francese, il suo futuro politico e la sua coesione sociale.

Il presidente François Hollande ha proclamato lo stato d’emergenza, per la prima volta dopo il 2005, quando nei quartieri periferici di Parigi ci furono scontri fra giovani, soprattutto musulmani o di origine straniera, e forze della polizia. Ma nella memoria storica dei francesi l’espressione “stato d’emergenza” rimanda alla guerra d’Algeria e al tentato golpe militare del 1961.

Parigi ha l’aspetto di una zona di guerra e così verrà ricordata. Lo shock sarà profondo e fra le tante domande che sorgono (com’è potuto accadere? ci sono state falle nella sicurezza?) ci si aspettano anche ricadute sulla politica: in quale modo ne trarrà vantaggio l’estrema destra del Front national?

Da anni la Francia è ampiamente coinvolta nel contrastare militarmente il terrorismo jihadista

Dopo Charlie Hebdo, di fronte al parlamento il primo ministro Manuel Valls aveva parlato di un paese “in guerra”, aggiungendo che la Francia “non era in guerra con l’islam” e che quello era un segnale rivolto alla popolazione musulmana, la più numerosa in Europa. Ma quelle parole non sono servite granché per placare le tensioni che serpeggiavano fra le comunità.

È ancora troppo presto per dire cosa sia accaduto esattamente. Di certo gli attacchi erano stati preparati con cura: tutti in una sola notte e in posti differenti, dove si sarebbero radunate sicuramente molte persone.

Dopo Charlie Hebdo gli esperti della sicurezza non avevano smesso di mettere in guardia dalle minacce che sarebbero venute dai gruppi jihadisti violenti, legati al gruppo Stato islamico (Is) o ad altre organizzazioni. Però non si era mai parlato, neanche come eventualità, di qualcosa di tale gravità, proprio nel cuore della capitale.

Ormai da anni la Francia è ampiamente coinvolta nel contrastare militarmente il terrorismo jihadista: dal gennaio del 2013 soprattutto nel Sahel, quando ha lanciato un’operazione militare nel Mali che poi ha finito per estendersi anche ad altri stati vicini. Diverse migliaia di soldati francesi sono ancora impegnati in quelle operazioni, con incursioni aeree che causano regolarmente vittime. Dal 2014 la Francia fa parte della coalizione anti Is in Iraq e da quest’anno compie anche attacchi sul territorio siriano (seppure in numero limitato).

Ora i musulmani in Francia avranno sempre più paura di essere associati al fanatismo e al terrore

La Francia è uno dei paesi europei da cui provengono centinaia di volontari dell’Is, spesso di nazionalità e cultura francese, talvolta convertiti alla religione islamica. La radicalizzazione su internet, un fenomeno non diverso dal reclutamento di una setta, è in costante crescita. Ovviamente, molto di tutto ciò ha a che fare con un contesto socioeconomico di forte disoccupazione giovanile, specialmente nelle periferie, e con la discriminazione razzista verso arabi e africani in genere.

Ora i musulmani in Francia avranno sempre più paura di essere associati al fanatismo e al terrore. Può anche darsi che gruppi populisti di estrema destra soffino sul fuoco dell’odio razziale. Dopo Charlie Hebdo, migliaia di soldati francesi sono stati dislocati in tutto il paese per presidiare luoghi chiave, come scuole, stazioni e istituzioni pubbliche.

A gennaio i terroristi che hanno preso di mira Charlie Hebdo e poi un negozio kosher, hanno colpito per tre giorni di fila. La domenica seguente è stata organizzata una manifestazione per le strade di Parigi, la più imponente dalla liberazione del 1944, con lo slogan “Je suis Charlie”.

Adesso sarà fondamentale che i dirigenti francesi mandino segnali che impediscano la disgregazione della società e il crollo della nazione, obiettivi ai quali mirano indubbiamente coloro che hanno orchestrato questi ultimi attentati.

Per tutti gli altri europei e l’occidente, quanto è accaduto a Parigi segnerà uno spartiacque, e per molti sarà un monito brusco, violento e traumatico del fatto che viviamo tutti ancora nell’era dopo l’11 settembre.

(Traduzione di Alessandro de Lachenal)

Questo articolo è uscito su The Guardian. Per leggere l’originale clicca qui.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it