In Medio Oriente solo due paesi non si sono piegati alle pretese di Washington: Iran e Siria. E quindi sono diventati due nemici. Fra i due, il più importante è l’Iran. E come accadeva durante la guerra fredda, gli Stati Uniti giustificano il ricorso alla forza come reazione all’influenza nefasta del nemico principale, spesso con pretesti inconsistenti.

Non sorprende, dunque, che proprio quando Bush decide l’invio di altre truppe nel pantano iracheno, comincino a circolare notizie su presunte ingerenze iraniane in Iraq, come se a Baghdad non ci fosse nessun’altra interferenza straniera. Il presupposto implicito in questo modo di vedere le cose è che l’America domina il mondo. Nella mentalità da guerra fredda che oggi regna a Washington, Teheran viene dipinta come il vertice della cosiddetta mezzaluna sciita, che si estende dall’Iran fino al Libano degli hezbollah, passando per il sud iracheno sciita e la Siria.

Per gli Stati Uniti il problema principale del Medio Oriente è il controllo delle enormi risorse energetiche della regione, che è considerato uno strumento di dominio globale. Il controllo statunitense è messo in discussione dall’influenza dell’Iran nella mezzaluna sciita. Per un caso della geografia, i giacimenti petroliferi più abbondanti del mondo si trovano nelle zone del Medio Oriente a maggioranza sciita: il sud dell’Iraq e alcune regioni adiacenti dell’Arabia Saudita e dell’Iran. Il peggior incubo di Washington sarebbe un’alleanza fra tutti gli sciiti, in grado di controllare la maggior parte del petrolio del mondo e indipendente dagli Stati Uniti. Una simile alleanza potrebbe perfino entrare nella “griglia di sicurezza energetica asiatica” guidata dalla Cina, e l’Iran potrebbe diventarne il fulcro. Quindi se Bush e i suoi provocassero una reazione di questo tipo, comprometterebbero il potere degli Stati Uniti nel mondo.

La colpa principale dell’Iran è stato il suo atteggiamento di sfida, che risale alla rivoluzione contro lo scià del 1979 e alla crisi degli ostaggi all’ambasciata americana di Teheran. Dalla storia viene invece cancellato il ruolo nefasto svolto dagli Stati Uniti in Iran, quando, per punire Teheran della sua ribellione, hanno sostenuto l’aggressione di Saddam Hussein, che ha causato centinaia di migliaia di morti e ridotto l’Iran in macerie. Poi ci sono state le criminali sanzioni economiche e, infine, con l’amministrazione di George W. Bush, il rifiuto di rispondere agli sforzi diplomatici fatti da Teheran. La Casa Bianca ha preferito le minacce.

Ma nonostante questo rumor di sciabole, è improbabile che Washington attacchi la repubblica islamica. La stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, sia negli Stati Uniti sia nel resto del mondo, è contraria a un conflitto, e sembra che anche i vertici militari e dell’intelligence americani si oppongano alla guerra. L’Iran non sarebbe in grado di difendersi da un attacco militare, però potrebbe reagire in altri modi: per esempio alimentando la violenza in Iraq. Ma c’è chi lancia avvertimenti molto più gravi: per esempio Corelli Barnett, un noto storico militare britannico, ha scritto che “un attacco all’Iran scatenerebbe sicuramente la terza guerra mondiale”.

L’amministrazione Bush – dopo aver provocato una catastrofe in Iraq, da cui non sa come uscire – potrebbe cercare allora di destabilizzare l’Iran dall’interno. Il paese ha una composizione etnica complessa: buona parte della sua popolazione non è persiana. Inoltre ci sono delle tendenze secessioniste che Washington, con ogni probabilità, sta cercando di alimentare. L’invasione americana dell’Iraq ha praticamente costretto l’Iran a procurarsi un deterrente nucleare. Per Teheran il messaggio era chiaro: gli Stati Uniti attaccano come vogliono gli stati che non possono difendersi. E l’Iran oggi è accerchiato da forze militari americane (in Afghanistan, in Iraq, in Turchia e nel golfo Persico), e per giunta è vicino al Pakistan, che ha la bomba atomica, e a Israele, che è diventato una superpotenza regionale grazie all’appoggio di Washington.

Nel 2003 l’Iran ha proposto di trattare su tutti i problemi aperti, comprese le armi nucleari e la questione palestinese, ma per tutta risposta Washington ha duramente criticato il diplomatico svizzero che era stato tramite dell’offerta. L’anno seguente l’Unione europea e l’Iran hanno raggiunto un accordo in base a cui Teheran avrebbe smesso di arricchire uranio, mentre l’Ue le avrebbe fornito “solide garanzie sulle questioni di sicurezza”, una formula che si riferiva alle minacce americane e israeliane di bombardare l’Iran.

Tuttavia – a quanto pare a causa delle pressioni statunitensi – l’Unione europea non ha mantenuto gli accordi, e l’Iran ha ricominciato ad arricchire uranio. Se Washington vuole davvero impedire che gli iraniani abbiano l’atomica ed evitare un’escalation nella regione, dovrebbe approvare gli accordi stipulati dall’Unione europea, accettare di trattare davvero con Teheran e cercare, insieme ad altri paesi, di integrare la repubblica islamica nell’economia internazionale.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it