Nel mondo della psicologia, non c’è nulla che garantisca tanta segreta soddisfazione quanto un nuovo studio secondo cui la meditazione sarebbe una sciocchezza. Il più recente, una rassegna di 54 ricerche precedenti, afferma che la mindfulness contribuisce ben poco a renderci più empatici e compassionevoli, e che per ottenere lo stesso risultato basterebbe guardare un documentario sulla natura in televisione (“La mindfulness non è meglio della tv”, ha dichiarato allegramente il neurologo Steven Novella in un suo post).
Poi c’è stato un altro studio abbastanza sorprendente da cui è emerso che i monaci e le suore tibetani temono la morte più della media delle persone comuni, un risultato ben strano visto che secondo la loro filosofia l’io non è reale, quindi la morte non dovrebbe essere un grosso problema. L’entusiasmo di alcuni davanti a queste rivelazioni è l’altra faccia dell’irritazione che emerge da un recente articolo apparso sulla rivista satirica The Onion intitolato: “Alcuni storici hanno scoperto che la meditazione è nata nell’antica Cina ed è stata diffusa da un monaco che non smetteva mai di ripetere in modo irritante quanto gli aveva cambiato la vita”.
Senza uno scopo
In quanto fautore della meditazione, naturalmente avrei già pronta una serie di risposte. Per motivi scientifici, di solito i ricercatori non reclutano per i loro studi soggetti specificamente decisi a imparare a meditare, mentre – secondo me – perché la tecnica funzioni bisogna veramente volerlo. Spesso chiedono ai partecipanti di provarci per qualche minuto, mentre so per esperienza che più tempo le si dedica e meglio è. Per quanto poi riguarda i monaci buddisti che avevano paura della morte, e che a quanto sembra erano quasi tutti giovani, forse ci pensavano più spesso della maggior parte di noi, e magari con più anni di meditazione avrebbero superato quella paura.
Infine, se volessi veramente irritare i suoi detrattori, potrei tirar fuori il fatto che la meditazione non ha un vero e proprio scopo, quindi non ha senso criticarla se non raggiunge certi obiettivi. Soprattutto, però, preferisco tacere per timore di darmi la zappa sui piedi. Nel momento stesso in cui comincio a fare del sarcasmo su quelli che non credono nella meditazione, praticamente sto dando ragione a loro perché, almeno nel mio caso, significa che non ha ancora prodotto la tanto decantata serenità e gentilezza d’animo.
Rimane comunque affascinante il fatto che la meditazione sembra irritare così tanto alcune persone. In effetti è un po’ fastidioso sentire i maestri spirituali che parlano con voce monotona e distaccata per lasciar intendere che hanno scoperto il segreto della felicità, quando da tutto il loro comportamento si deduce che la loro vita è di una noia mortale.
Poi c’è l’ambigua politica di invitare la gente a cercare la gioia nella vita così com’è, piuttosto che provare a cambiarla, a cui si aggiunge la dubbia utilità di spendere denaro pubblico per promuovere la meditazione quando la scienza non convalida i risultati che stai cercando di ottenere. Senza contare quanto è irritante sentirsi dire da qualcun altro come essere felici, soprattutto quando il metodo che ti consiglia di provare consiste, in un certo senso, nel non provare.
Tutti questi sono buoni argomenti contro chi vorrebbe imporre la meditazione agli altri. Ma non sono motivi sufficienti per non meditare. E, a mio modesto parere, le ricerche non ne smentiscono l’efficacia: per me smettere di meditare a causa dei risultati di uno studio sarebbe bizzarro quanto smettere di fare passeggiate o di andare a cena con gli amici perché una ricerca ha dimostrato che non mi fa bene quanto sembra. Per me il beneficio sta proprio in quel “sembrare”: se meditare sembra migliorarmi la vita, in pratica me la migliora. Scusate se questo punto di vista vi irrita. Perché non provate a meditare un po’?
Consigli di lettura
Il libro di Edward Slingerland Trying not to try (Provare a non provare) sulla filosofia cinese e l’arte della spontaneità, ci aiuta a capire perché cercare coscientemente di raggiungere la felicità attraverso la mindfulness, o qualsiasi altra cosa, potrebbe essere controproducente.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it