Adesso che tra i ruoli della mia vita c’è anche quello di compratore di giocattoli per bambini, ho cominciato a pormi tutta una serie di nuovi dilemmi in stile Guardian: il prodotto rispecchia troppo gli stereotipi di genere? È troppo commerciale? È stato fabbricato eticamente? Ma non ho avuto nessuna di queste esitazioni l’altro giorno, quando mi sono imbattuto, tramite i social media, nella versione giocattolo dei registratori di cassa fai-da-te, prodotta dalla American plastic toys, un’azienda dal nome decisamente appropriato.

Mi rendo conto che non potrò proteggere all’infinito mio figlio dagli orrori della nostra epoca. Ma resisterò con tutte le mie forze all’idea che sia normale un mondo in cui comprare cose da mangiare da una multinazionale implichi una procedura che non prevede nessun contatto umano, faccia fare tutta la fatica a noi e permetta all’azienda di licenziare persone che lavorano lì da sempre. Sono passati decenni da quando sono stati introdotti i primi modelli, ma fondamentalmente il sistema ancora non funziona. Di conseguenza non ho comprato il giocattolo. E, comunque, probabilmente mi avrebbero costretto a ritirarlo nel loro deposito.

Le casse automatiche sono solo un piccolo ma lampante esempio di quello che il filosofo austriaco Ivan Illich chiamava “lavoro ombra”, cioè lavoro non retribuito che va a vantaggio di qualcun altro. Non è niente di nuovo: le faccende di casa e l’educazione dei figli sono due classici esempi di lavoro ombra, dato che in loro assenza non ci sarebbe possibile svolgere un lavoro retribuito (un esempio un po’ meno evidente è il pendolarismo: un impiego di tempo e risorse personali che va tutto a vantaggio del datore di lavoro).

Oggi non siamo solo i commessi del nostro supermercato, ma anche i nostri agenti di viaggio e impiegati del check-in all’aeroporto

Ma, come ci fa notare Craig Lambert nel suo libro Il lavoro ombra. Tutti i lavori che fate (gratis) senza nemmeno saperlo, è una tendenza in forte ascesa. Questo potrebbe essere il motivo per cui, misteriosamente, oggi abbiamo la sensazione di essere sempre tanto occupati, anche se non lavoriamo più ore. Non lavoriamo più ore pagate, è solo che vivere ci costa più lavoro.

È paradossale, osserva Lambert, che sia soprattutto colpa della tecnologia. L’automazione avrebbe dovuto eliminare i lavori noiosi per permetterci di avere più tempo libero. In realtà, ha tolto il lavoro retribuito agli esseri umani e, al tempo stesso, ha aumentato la quantità di lavoro ombra che devono svolgere, trasferendo molti compiti dai dipendenti ai consumatori.

Isolamento sociale
Oggi non siamo solo i commessi del nostro supermercato, ma anche i nostri agenti di viaggio e impiegati del check-in all’aeroporto, i nostri segretari e benzinai, e, dato che passiamo ore a creare contenuti su Facebook, Twitter e YouTube, i nostri fornitori di giornalismo e intrattenimento (vicino a dove abito c’è addirittura un “lavaggio cani self-service”, anche se penso che sia chiedere troppo a un cane).

Il lavoro ombra può avere i suoi vantaggi – risparmio di tempo, maggiore autonomia – ma come fa notare Lambert, ha l’enorme svantaggio di isolarci socialmente. È evidente nel caso della persona anziana che ha difficoltà a prenotare un viaggio online o a comprare un biglietto del treno da una macchina touchscreen, ma ci riguarda tutti: ogni scambio tra un cliente e un cassiere, un impiegato di banca e un correntista, “serve da collante per tenere insieme un quartiere o a una città”.

Fare qualcosa per gli altri, anche senza essere retribuiti, “è una caratteristica essenziale della comunità umana”. Nel mondo del self-service, invece, siamo tutti soli.

Da vedere
Il sociologo Craig Lambert discute dei lavori ombra che riempiono il nostro tempo libero in una puntata di Talks at Google.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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