La maestra zen di origine britannica Houn Jiyu-Kennet diceva che quando si trattava di insegnare, la sua filosofia non era cercare di alleggerire i pesi che i suoi allievi si erano portati sulle spalle per tutta la vita, ma di renderli così pesanti che decidevano di posarli. Io non sono un maestro zen (ho la testa pelata d’ordinanza, ma sto ancora lavorando sull’equanimità infinita).

Però quella frase mi è sempre piaciuta, perché esprime qualcosa di molto profondo a proposito dello stress dell’esistenza. Per spiegare come la interpreto, cosa che un maestro zen non farebbe mai: la maggior parte di noi passa le giornate cercando a livello subliminale di arrivare a un punto in cui ha la sensazione di aver finalmente messo ordine nella sua vita e avere tutto sotto controllo, il che può significare aver raggiunto la sicurezza economica, essere diventati genitori perfetti, essersi lasciati alle spalle i traumi dell’infanzia, o qualsiasi altra cosa.

Il metodo del cosiddetto “alleggerimento del peso”, predicato da un migliaio di libri di autoaiuto, implica l’aver veramente raggiunto quella sicurezza. Quello dell’aumento del peso, invece, significa prendere coscienza che quell’obiettivo era impossibile da raggiungere. E quando ci rendiamo conto che stiamo inseguendo un miraggio, ci passa la voglia di rincorrerlo, e ci rilassiamo prendendo la vita così com’è.

Liberazione interiore
Il che è più facile a dirsi che a farsi. Anche se in questo momento è un po’ più facile del solito, poiché tutte le cose che tendiamo a dirci di dover fare per essere felici, o sicuri, o per giustificare la nostra esistenza, sono ovviamente irrealizzabili. Non possiamo lavorare a pieno ritmo occupandoci al tempo stesso di un bambino piccolo, non possiamo essere assolutamente certi che i nostri cari siano al sicuro dalla pandemia, non possiamo garantire che la nostra famiglia non risentirà delle conseguenze della crisi economica, e così via.

Dentro di me, spero di trovare una conferma, tra un titolo e l’altro, che alla fine tutto andrà bene

Naturalmente, prendere coscienza di questo non basta magicamente a convincerci che non è un problema se siamo al limite della sopportazione, ammalati o in difficoltà economiche. Ma innesca una sorta di liberazione interiore. Siamo ancora in una brutta situazione, ma non cerchiamo più con tutte le nostre forze di uscirne perché è un’impresa impossibile. Inoltre, il risultato di questo diverso atteggiamento è che non finiamo per essere passivamente rassegnati al nostro destino. Anzi, siamo ancora più motivati a impegnarci in qualsiasi azione utile.

Di recente ho notato che leggo le notizie con il desiderio subconscio di qualcosa di impossibile: dentro di me, spero di trovare una conferma, tra un titolo e l’altro, che alla fine tutto andrà bene nel mondo. Perciò è una piccola consolazione prendere coscienza che già adesso le cose non vanno affatto tutto bene. Ormai la nave è partita. Tutte le migliaia di persone decedute a causa del nuovo coronavirus sono già morte, il ghiaccio dell’Artico si sta già sciogliendo, molte specie animali sono già estinte. E la possibilità che, nonostante la nostra assoluta mancanza di qualificazioni per diventare presidente degli Stati Uniti, arriveremo lo stesso alla Casa Bianca, è stata esclusa una volta per tutte.

Ogni volta che ne prendo atto, quando mi accorgo che stavo cercando di convincermi che non viviamo in un’epoca buia (mentre è proprio così) mi sorprende capire che non mi assale un orrore infinito o la disperazione, ma prevale una sorta di pragmatismo che mi spinge a rimboccarmi le maniche. Benissimo, allora questa è la situazione. Quindi è il momento di pensare se almeno posso fare qualcosa al riguardo.

Da ascoltare
Su YouTube potete trovare l’archivio delle registrazioni dei discorsi inflessibili ma divertenti sullo zen di Jiyu-Kennett.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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