Negli ultimi due anni la narrazione promossa dalla Silicon valley è stata chiara: l’intelligenza artificiale generativa avrebbe trasformato tutto, modelli più complessi avrebbero inevitabilmente prodotto risultati migliori, e tutto (o quasi) avrebbe dovuto essere sacrificato sul suo altare. E poco importa se questo significava bruciare ancora più combustibili fossili, minacciare la rete elettrica globale o addirittura la nostra capacità di raggiungere gli obiettivi sulle emissioni. Nulla avrebbe dovuto ostacolare il futuro dell’ia.
Ascolta | La puntata del Mondo sul sorprendente successo dell’intelligenza artificiale cinese DeepSeek
La scorsa settimana l’amministratore delegato di OpenAi, Sam Altman, era alla Casa Bianca insieme al presidente Donald Trump, all’amministratore delegato di Oracle, Larry Ellison, e a quello di Softbank, Masayoshi Son, per annunciare una nuova importante iniziativa: questi giganti avrebbero convogliato fino a cinquecento miliardi di dollari nelle infrastrutture per l’ia nell’ambito del progetto Stargate.
Anche Microsoft, Meta e altre grandi aziende tecnologiche statunitensi si sono subito affrettate a ricordare agli investitori che anche loro hanno in programma decine di miliardi di dollari di investimenti nei data center. Ma ora questo scenario rischia di precipitare nell’incertezza.
L’aziende cinese DeepSeek – una costola di un fondo speculativo – ha lanciato un’intelligenza artificiale basata su un nuovo modello di ragionamento chiamato R1, che sta mettendo in discussione l’essenza stessa della narrazione che Altman e soci cercano di venderci. Mentre OpenAi, Anthropic e Google hanno a fatica cercato di perfezionare i loro modelli con una scala maggiore, DeepSeek ha prodotto un modello competitivo con i sedicenti leader statunitensi del settore a un costo di addestramento di gran lunga inferiore: 5,6 milioni di dollari, rispetto ai circa cento milioni sborsati da OpenAi per il Gpt-4 (un’evoluzione di ChatGpt che accetta input non solo di testo ma anche di immagini, lanciata nel 2023).
Questo risultato di Deepseek mette in discussione la premessa fondante di tutta l’esagerata aspettativa intorno all’intelligenza artificiale, e nel farlo potrebbe annientare il vantaggio competitivo che le aziende statunitensi dominanti in questo campo millantavano di avere. Ed è proprio questo il motivo per cui il 28 gennaio i principali titoli tecnologici di Wall street hanno bruciato mille miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato – con la Nvidia che ha sperimentato il peggior crollo della sua storia – spingendo il settore tecnologico statunitense ad affannarsi per dimostrare che questa non sarà una mazzata letale alla bolla dell’ia.
Ma non è tutto. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno intensificato i loro sforzi per limitare e danneggiare l’industria tecnologica cinese: da un lato per mantenere la propria superiorità, dall’altro per azzoppare la concorrenza alle sue aziende. La capacità di DeepSeek di superare queste restrizioni è un altro segnale del fatto che questa strategia non solo si sta dimostrando fallimentare, ma è stata probabilmente controproducente, perché ha spinto il governo di Pechino a incrementare il sostegno al suo settore tecnologico e le aziende cinesi a diventare ancora più versatili a fronte dei vincoli imposti.
Il modello d’intelligenza artificiale di DeepSeek non solo ha avuto costi di addestramento molto inferiori, ma è stato realizzato anche con meno unità di elaborazione grafica (gpu) – 2.048 processori Nvidia H800 per la precisione – rispetto a quelle che usano le società statunitensi per i loro prodotti e, inoltre, con versioni più datate di quei chip, dato che per le aziende cinesi è molto più difficile mettere le mani sugli hardware Nvidia più recenti. Senz’altro, a loro farebbe piacere mettere le mani sui processori migliori come le controparti statunitensi, ma il fatto di doversi arrangiare con tecnologie meno potenti le ha costrette a un’inventiva di cui le compagnie tecnologiche statunitensi non hanno avuto bisogno. E questo potrebbe rivelarsi un vantaggio competitivo fondamentale.
Abbiamo già assistito alle preoccupazioni per i progressi più rapidi del previsto della tecnologia dei chip della Huawei, soprattutto in seguito al lancio dello smartphone Mate 60, mentre aziende come TikTok, Shein e Temu sono diventate a pieno titolo delle importanti concorrenti. A dicembre un’analisi dei ricercatori di Bloomberg ha calcolato che la Cina è leader globale nel campo dei pannelli solari, delle ferrovie ad alta velocità, della produzione di grafene, nelle tecnologie dei veicoli elettrici e delle batterie e in quella dei veicoli aerei senza pilota. Ma si è rivelata competitiva anche in tutti gli altri settori tecnologici oggetto dello studio.
“Nonostante più di sei anni di dazi, controlli sulle esportazioni e sanzioni finanziarie statunitensi, il presidente cinese Xi Jinping sta facendo continui progressi nel piazzare Pechino in posizione dominante nei settori del futuro”, spiegava l’articolo. Magari gli Stati Uniti sono riusciti a proteggere il proprio mercato interno, ma i consumatori in altri paesi guidano sempre più spesso veicoli elettrici cinesi, navigano con smartphone cinesi e usano anche app e servizi del paese asiatico.
La strategia di contenimento sta fallendo. E non è chiaro se l’amministrazione nazionalista di Trump, finanziata e comprata dall’oligarchia tecnologica, cambierà questa situazione. L’indulgenza nei confronti di TikTok potrebbe essere il segnale di un cambiamento imminente, oppure un atto isolato per compiacere i donatori e guadagnare qualche punto con l’opinione pubblica.
Nel frattempo la bolla dell’intelligenza artificiale, che dopo l’insediamento di Trump sembrava pronta a ricevere una nuova ondata di capitali, adesso ha un’enorme falla e sta rapidamente perdendo aria. Resta ancora da capire se i grandi finanziatori della Silicon valley riusciranno a mettere una toppa prima che si sgonfi. Indipendentemente da quello che succederà, però, gli Stati Uniti non dovrebbero sedersi troppo sugli allori raccontando a se stessi che la Cina non sarà mai in grado di raggiungerli.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
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