Non si sa quando il bellissimo e crudele documentario di Annalisa Piras e Bill Emmott, Girlfriend in a coma, proiettato il 13 febbraio nella sede dell’associazione della stampa estera a Roma, potrà essere visto dal grande pubblico. Ma non possiamo fare altro che consigliare alle reti televisive di trasmetterlo.
Spiega molte cose dell’Italia di oggi. “È un film basato su un pregiudizio”, diranno quelli che prendono ogni critica all’Italia, soprattutto se fatta da uno straniero, come un attacco personale. Sì, è vero, si basa su un pregiudizio, l’amore.
La regista italiana Annalisa Piras ha lasciato il suo paese per vivere a Londra, stanca di aspettare le opportunità che non trovava più a casa. Negli ultimi vent’anni un milione di giovani italiani ha fatto questa scelta. Bill Emmott, ex editorialista dell’Economist, si è innamorato dell’Italia da giovane. E non si è mai più ripreso, come molti prima di lui (Chateaubriand, Goethe, Stendhal).
A lui dobbiamo due copertine molto dure su Berlusconi: “Quest’uomo non è adatto a governare l’Italia” (
Internazionale del 29 agosto 2003) e “The man who screwed up an entire country” (Internazionale del 17 giugno 2011), che la decenza ci impedisce di tradurre. E il libro Good Italia, bad Italia, che ha ispirato il film. La fidanzata di cui si parla in questo film è la sua, o quanto meno lo era prima che lo deludesse.
In 97 minuti Emmott e Piras regalano il loro sguardo ironico, innamorato e spaventato sullo stivale. E s’interrogano su un paese che, dai tempi dell’impero romano, alterna momenti molto belli (il Rinascimento, gli eroi del Risorgimento Cavour e Garibaldi, il primo capo di governo repubblicano Alcide De Gasperi,) e molto brutti (il fascismo, gli anni di piombo, l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, la nascita della televisione trash, il berlusconismo e il bunga bunga).
Pieno di citazioni della sempre attuale Divina Commedia, il film fa una domanda che riguarda l’intera Europa: “In Italia sono già visibili i segni del declino dell’Occidente?”. Su questo punto le testimonianze del giornalista Roberto Saviano, dello scrittore Umberto Eco, del direttore generale della Fiat Sergio Marchionne e dell’attore Toni Servillo fanno fatica a rassicurarci.
Girato tra il 2010 e il 2011, il documentario accoglie con troppa benevolenza il passaggio da Berlusconi a Monti, interpretato come il segno evidente di un cambiamento. Mentre per molti osservatori l’arrivo del governo dei professori non ha fatto altro che sostituire una crisi morale con una crisi sociale. L’impressione è che la “buona Italia” non sia riuscita ad avere la meglio sulla “cattiva”. “In questo paese c’è una coalizione della classe dirigente che impedisce qualunque cambiamento”, spiega l’ex ministro Elsa Fornero.
Ma allora chi salverà l’Italia, terza potenza economica europea, dai suoi vizi e dai suoi ritardi congeniti, da questa incredibile vitalità sprecata? “Vogliamo che questo film trovi un pubblico tra tutti coloro che hanno deciso di lasciare l’Italia, non potendone più della sua reputazione. Per tutti coloro che hanno vissuto all’estero gli scandali di Berlusconi e che si sono sentiti umiliati”, spiega la regista.
E gli italiani che vivono in Italia? Dovranno aspettare la fine delle elezioni per scoprirlo. Il museo Maxxi di Roma ha rifiutato di proiettare il documentario, invocando la campagna elettorale e la par condicio. Ma forse era proprio questo il momento per discuterne. “Noi italiani abbiamo il genio di vedere le cose che gli altri ignorano”, Marchionne. Ma sarebbe ora che vedessero quello che gli altri possono vedere.
Traduzione di Andrea De Ritis.
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