Il confronto con Mao Zedong viene di certo in mente non appena si evoca il potere assoluto di Xi Jinping in Cina alla fine del 19° congresso del Partito comunista cinese (Pcc). Ma bisogna andare oltre questo confronto e guardare più avanti per comprendere quello che sta succedendo in Cina e che impatto avrà sul mondo.
In occasione di questo congresso ci sono state almeno tre grandi “novità”.
Xi Jinping non ha designato un successore tra i sei altri componenti del Comitato permanente dell’ufficio politico del Pcc, diversamente da com’è stato negli ultimi vent’anni.
Al contrario dei suoi predecessori ha fatto inserire il suo “pensiero” accanto a quello di Mao e di Deng Xiaoping nella costituzione del partito mentre è ancora in carica.
Fantasmi e novità
Il leader cinese, dunque, non segue la via collegiale del potere che era stata la norma dai tempi di Deng Xiaoping, il quale giustamente voleva evitare gli abusi e gli eccessi del maoismo di cui era stato una delle vittime.
Questo status ottenuto da Xi alla fine di un primo mandato contrassegnato da una lotta intensa alla corruzione, per molti aspetti si avvicina all’eliminazione di tutti coloro che nei clan rivali o nelle fazioni emergenti potevano fargli ombra. L’ultima vittima è Sun Zhengcai, “padrone” del partito nella megalopoli di Chongqing e componente del precedente ufficio politico, accusato di corruzione nel luglio scorso, a soli tre mesi dal congresso.
Solo Mao prima di Xi aveva goduto di un tale potere. Ma il “grande timoniere”, che ha governato dalla vittoria comunista del 1949 alla sua morte nel 1976, aveva acquisito questo potere con metodi molto più sbrigativi, lasciando dietro di sé milioni di vittime.
Nulla del genere per Xi Jinping nonostante un apparato di polizia onnipresente, se non un certo mimetismo in particolare nel ripristino di un culto della personalità che non si era più riscontrato negli ultimi decenni e l’esigenza di una lealtà assoluta che si riflette nella composizione del comitato permanente presentato il 25 ottobre ai giornalisti.
Ma non basta evocare il “fantasma” di Mao per capire la Cina del 2017. Jean-François Billeter, sinologo svizzero, pensa che sia necessario osservare il “tempo lungo” della Cina, calarsi nelle sue profondità storiche millenarie, per potersi rendere conto di quello che sta succedendo a Zhongnanhai, la sede del potere a Pechino, a due passi dall’ex Città proibita degli imperatori Qing.
Il nuovo potere cinese è la ‘sintesi’ di tre elementi: il capitalismo, un potere totalitario e il nazionalismo
Nel 2000 Billeter aveva pubblicato un piccolo libro, Chine trois fois muette (Cina, tre volte muta), un breve saggio sulla storia cinese nel quale notava che “per tremila anni la monarchia è stata logicamente necessaria perché qualunque realtà sociale era concepita solo in termini gerarchici. Lo si vede con particolare evidenza nel pensiero confuciano, in cui non è l’individuo a costituire la realtà umana ma la relazione gerarchizzata di due persone – di un sovrano e del suo ministro, di un padre e un figlio, di un fratello maggiore e un fratello minore, di uno sposo e una sposa. Questi binomi erano l’elemento principale. L’elemento umano era gerarchico nella sua stessa definizione. L’uguaglianza era inconcepibile”.
Secondo Billeter “il regime attuale poggia sugli stessi presupposti”, ed è a questa differenza che pensa quando osserva la Cina di Xi Jinping, con una concezione del potere che “ridiventa attiva dopo un secolo di crisi”. Per lui il fenomeno del nuovo potere cinese è la “sintesi” di tre elementi: il capitalismo, un potere totalitario e il nazionalismo. “Nel corso del ventesimo secolo questa combinazione è già esistita e ha prodotto delle catastrofi. Non necessariamente sarà il caso in Cina, ma di sicuro avrà un’influenza sul resto del mondo a causa della potenza cinese, che forse un domani sarà la più forte del mondo”.
Un paese inarrestabile
Il 19° congresso del Pcc ha permesso di constatare che la Cina, dopo trent’anni di trasformazioni e di crescita accelerata, rimane inflessibile su un modello politico autoritario, se non dittatoriale, mentre continua a sviluppare delle ambizioni finora contenute.
Oggi la Cina è l’unica potenza in questo mondo multipolare a combinare un’economia in pieno sviluppo, innovativa e dinamica; un potere politico sicuro dei suoi mezzi e che non teme alcuna contestazione interna; una strategia internazionale simboleggiata dal progetto di “nuove vie della seta” proposto a suon di miliardi di dollari a un mondo che non chiede altro.
Questa Cina in piena espansione contrasta con il mondo intorno a sé: gli Stati Uniti, la superpotenza dominante di ieri, ha alla sua testa un presidente “disfunzionale” (che peraltro sarà in Cina tra due settimane) e dubitano di loro stessi; l’Europa ha il potenziale per fare da contrappeso ma deve prima di tutto ritrovare la coerenza politica e la volontà; la Russia di Vladimir Putin ha un capo e la forza militare, ma si trova a essere il “collega giovane” dell’alleanza con Pechino dopo esserne stata il “grande fratello” all’epoca di Stalin.
In tutte le grandi questioni del ventunesimo secolo e soprattutto nel campo della tecnologia, la Cina si ritrova in prima linea. Questo paese si è impegnato a fondo nel leapfrogging, il salto della cavallina, che permette a un paese in ritardo di ignorare le tecnologie del passato e quelle attuali per concentrarsi su quelle di domani, per esempio per quanto riguarda l’intelligenza artificiale sulla quale la Cina investe probabilmente più degli Stati Uniti e certamente molto più dell’Europa.
Senza cadere in definizioni razziste come “pericolo giallo”, c’è nella ridefinizione del mondo una “questione cinese” che si sta imponendo in modo crescente a tutti i suoi partner e rivali. Non riflettere su questo punto, come fa in genere un’Europa ancora troppo ripiegata su di sé, espone a dei risvegli potenzialmente dolorosi. L’immagine di massa e senza concessioni del 19° congresso e del suo “imperatore rosso” dovrebbero spingere a riflettere su questo punto il più rapidamente possibile.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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