In un mondo dove gli autocrati sembrano guadagnare terreno, c’è un paese che va nella direzione opposta e potrebbe rivendicare il titolo di buona notizia dell’anno, l’Etiopia.
Popolata da cento milioni di persone e situata nel Corno d’Africa, l’Etiopia è governata dallo scorso aprile dal giovane primo ministro Abiy Ahmed, 42 anni, che in pochi mesi ha avviato un importante programma di riforme. Naturalmente è meglio essere prudenti, ma resta il fatto che l’Etiopia sta vivendo un’evoluzione incoraggiante.
Abiy Ahmed ha cominciato liberando centinaia di prigionieri politici e giornalisti detenuti, e per la prima volta negli ultimi 15 anni non ce n’è più nemmeno uno in prigione. Una rondine non fa primavera, certo, ma si tratta comunque di un buon indicatore dello stato delle liberà in un paese.
Le donne e la pace con l’Eritrea
All’inizio del 2018 l’Etiopia sembrava dover sprofondare in una crisi politica profonda, con il rischio di una guerra civile. In un clima molto teso, è partita una corsa alla leadership del partito dominante. Alla fine ha prevalso Abiy Ahmed, uomo che incarna una nuova generazione più in sintonia con la popolazione giovane che aspira a una società più aperta. Da quel momento è partita “l’Abiymania” che si è prolungata oltre l’entusiasmo iniziale.
Il primo ministro ha scelto l’aiuto delle donne etiopi, instaurando la parità all’interno del suo governo e facendo eleggere Saleh-Work Zewde alla presidenza della repubblica. Saleh-Work Zewde è oggi l’unica donna a capo di uno stato nel continente, anche se si tratta di un titolo sostanzialmente onorifico.
L’altro elemento che ha segnato i primi mesi del nuovo governo è la pace raggiunta tra l’Etiopia e il suo vicino ed ex colonia, l’Eritrea, dopo anni di ostilità che sembravano insormontabili.
Facendo saltare diversi chiavistelli nella società, il primo ministro si è inevitabilmente fatto molti nemici, soprattutto all’interno della vecchia guardia del potere, esponendosi a minacce.
Abiy Ahmed è comunque riuscito a mantenere la rotta, promettendo di combattere l’eccessivo statalismo dell’economia etiope per far sviluppare l’imprenditoria e attirare investimenti dall’estero. L’obiettivo finale è la creazione di posti di lavoro in un paese che resta estremamente povero.
Il primo ministro, ex militare che ha studiato informatica e filosofia, ha un padre musulmano e una madre cristiana. Sa bene che dovrà gestire conflitti etnici che ancora ci sono nell’ex impero di Haile Selassie e che dovrà superare il test della democratizzazione, coinvolgendo un’opposizione a lungo repressa.
Nonostante i suoi limiti e il rischio di regressione, l’Etiopia ha subìto per troppo tempo l’oppressione feudale e militare per non apprezzare la liberalizzazione in corso. L’evoluzione del paese merita di essere seguita e incoraggiata.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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