Il 7 febbraio Theresa May sarà a Bruxelles nella speranza di ottenere nuove concessioni sulla Brexit… per poi finire all’inferno. Perché è proprio l’inferno, non quello dell’Unione europea ma quello “vero”, di Lucifero, ad aver fatto impennare la temperatura politica nel Regno Unito.

Il 5 febbraio il presidente dell’Unione europea, il cattolicissimo polacco Donald Trusk, si è chiesto pubblicamente a cosa possa somigliare “l’angolo speciale dell’inferno” in cui finiranno quelli che hanno promosso la Brexit senza avere la minima idea di come attuarla. La battuta provocatoria del presidente europeo voleva essere un modo di far presente a May, alla vigilia della sua visita a Bruxelles, che non deve aspettarsi miracoli, per restare all’interno della metafora cristiana.

Certo, la premier britannica non era tra quelli che hanno “venduto” il sogno della Brexit durante la campagna per il referendum del 2016, ma si sta impegnando a fondo per concretizzarlo in un paese talmente diviso che ormai non esiste altra maggioranza se non quella che continua a dirle no.

Interessi contraddittori
Il 6 febbraio Donald Tusk ha ripetuto, con tono più serio, che l’accordo negoziato per due anni tra il governo britannico e i 27 stati dell’Europa unita, rappresentati da Michel Barnier, non è negoziabile. “I 27 non faranno altre offerte”, ha dichiarato il leader europeo, manifestando la speranza che May si presenti con idee nuove per uscire dall’impasse.

Possiamo pensare che l’Europa sia troppo intransigente? È l’idea più in voga a Londra tra i ranghi dei sostenitori della Brexit, che vorrebbero addossare la colpa dell’impasse all’Unione europea e non alla spaccatura politica nel Regno Unito.

La prima ministra sa benissimo che non otterrà nulla di decisivo

Ma la verità è che i negoziati, estremamente tecnici, sono andati avanti per due anni e hanno prodotto un testo di oltre 600 pagine che tiene conto di interessi spesso contraddittori. Alla fine il trattato è caduto sull’ultimo ostacolo, quello della frontiera tra le due Irlande.

Al centro del problema c’è il contrasto tra la necessità di mantenere la libera circolazione tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord e la volontà di Londra di uscire dall’unione doganale. Ristabilire i controlli alle frontiere andrebbe contro gli accordi di pace che hanno messo fine al conflitto irlandese, ma la soluzione proposta è stata bocciata dal parlamento britannico.

Ormai restano solo sette settimane prima della scadenza del 29 marzo. Il rischio di un no deal, una Brexit senza accordo, con l’inevitabile rischio di caos alle frontiere, cresce giorno dopo giorno.

Ancora una volta la visita di Theresa May a Bruxelles è presentata come “l’ultima speranza” di sfuggire al no deal. La prima ministra sa benissimo che non otterrà nulla di decisivo. L’unica possibilità è che, tornando in patria con qualche concessione secondaria e sfruttando la vicinanza al precipizio, riesca a portare dalla sua parte un numero sufficiente di deputati che finora sono stati ostili all’accordo negoziato a dicembre.

Promettendo l’inferno, Tusk spera di spaventare Londra, a rischio di diventare il capro espiatorio di un fiasco al cento per cento made in England. Nessuno, comunque, propone il “paradiso”. Ed è un peccato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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