Le immagini che ci arrivano da Idlib, ultima enclave che ancora sfugge al controllo dell’esercito di Bashar al Assad, sono terrificanti. Raffiche costanti di artiglieria e bombardamenti aerei russi colpiscono indiscriminatamente, come era già accaduto in occasione di battaglie precedenti, ad Aleppo e altrove.

Secondo un collettivo di organizzazioni umanitarie, dall’inizio di maggio, quando sono cominciati i bombardamenti, sono stati colpiti tredici tra ospedali e centri di soccorso. Decine di civili sono stati uccisi. Migliaia di profughi cercano di scappare da questo inferno che potrebbe essere il preludio a un’offensiva terrestre.

Idlib vive una situazione molto particolare. È lì che in occasione di tutte le battaglie precedenti i militanti irriducibili sono stati autorizzati a rifugiarsi, insieme a una schiera di profughi, un milione dei quali dipende ancora dagli aiuti umanitari. Ora, però, non hanno un altro posto dove andare.

Nei mesi trascorsi dall’inizio dell’assedio a Idlib, hanno preso il controllo dell’enclave i più spietati combattenti jihadisti, in precedenza affiliati ad Al Qaeda e ora mimetizzati fra tre milioni di civili.

A settembre un’offensiva russo-siriana sembrava imminente, ma è stata fermata per tentare la via del dialogo con la vicina Turchia, con la prospettiva di un processo di smilitarizzazione. Ma ora Damasco è convinta che questa via non sia più percorribile.

La grande incognita è il comportamento della Turchia, che per ora mantiene il silenzio. Ankara ha inviato i suoi soldati nella regione, ha un rapporto sempre più stretto con la Russia (che in estate dovrebbe consegnarle batterie di missili) e soprattutto conserva un obiettivo prioritario: bloccare i curdi del nordest della Siria. Non sappiamo se ci saranno accordi dietro le quinte nel quadro di un gioco cinico tra le potenze regionali.

I civili dovranno scegliere se fuggire in Turchia, dove i profughi sono già tre milioni, o verso l’Europa, che cerca di diventare una fortezza

Per l’ennesima volta, in questa guerra che dura da più di otto anni, le principali vittime saranno i civili siriani bombardati e terrorizzati, che di nuovo avranno come unica opzione la fuga, verso la Turchia (che ospita già più di tre milioni e mezzo di profughi) o verso un’Europa che cerca di trasformarsi in una fortezza.

In questo caos la comunità internazionale resta immobile. Le Nazioni Unite sono paralizzate dal veto russo, e dopo la rinuncia degli Stati Uniti a intervenire, nel 2013, Putin ha avuto mano libera.

Se allarghiamo lo sguardo ci rendiamo conto che in Medio Oriente, in questo momento, le due ex superpotenze, la Russia e gli Stati Uniti portano avanti, ognuna per sé e in modo unilaterale, azioni di forza appoggiate dai rispettivi apparati militari. Gli Stati Uniti si preparano a soffocare l’Iran con sanzioni imposte al resto del mondo e inviando la loro flotta. La Russia, come abbiamo potuto constatare, ha ripreso i bombardamenti in aiuto del suo alleato Assad, che ha salvato dalla disfatta.

Washington e Mosca se ne infischiano delle regole internazionali relegando le Nazioni Unite a un ruolo simbolico e di assistenza umanitaria dopo le battaglie. La Siria è il cimitero dell’illusione di una comunità internazionale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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