I riflettori si sono appena accessi su un tema profondamente imbarazzante e in cui solitamente abbondano le zone d’ombra: il commercio d’armi.

Tutto è cominciato il mese scorso, quando l’esercito del governo di Tripoli ha scoperto, a sud della capitale libica, quattro missili anticarro Javelin di fabbricazione statunitense. I missili si trovavano in una base del generale Khalifa Haftar, capo di una delle fazioni che combattono la guerra civile in Libia.

Il secondo colpo di scena è arrivato quando il Pentagono ha identificato questi missili sofisticati – dal costo di 150mila euro l’uno – come appartenenti a uno stock acquistato dall’esercito francese.

Parigi è stata costretta a confermare la versione di Washington, ma ha ribadito che i missili non sono mai stati consegnati al generale Haftar, azione chiaramente illegale alla luce dell’embargo nei confronti della Libia e del divieto di esportare le armi acquistate dagli Stati Uniti.

Ora sappiamo che i militari francesi operano sul suolo libico, cosa che Parigi non aveva mai ammesso ufficialmente

Secondo l’Eliseo i missili sarebbero stati utilizzati dalle forze speciali francesi, ma una volta scoperto un difetto sarebbero stati conservati in attesa di essere distrutti.

La vicenda getta una doppia luce sul ruolo della Francia. In primo luogo ora sappiamo che i militari francesi operano sul suolo libico, cosa che Parigi non aveva mai ammesso ufficialmente. Raccolgono informazioni? Eseguono operazioni anti-terrorismo? Sono parole fin troppo vaghe.

Inoltre la storia dei missili Javelin solleva ulteriori dubbi sui legami tra la Francia e il generale Haftar, l’uomo che ha rilanciato la guerra civile nella speranza di conquistare il potere in Libia. La settimana scorsa Haftar è stato accusato di aver bombardato un centro di detenzione per migranti nei pressi di Tripoli, spingendo le Nazioni Unite a puntare il dito contro i paesi che forniscono armi alle fazioni libiche.

Il ritrovamento di questi missili, insomma, esige risposte ufficiali più precise sul reale ruolo ricoperto dalla Francia in questo conflitto per cui, non dimentichiamolo, Parigi ha una responsabilità particolare dopo aver provocato la caduta del regime di Gheddafi nel 2011.

Quella dei missili, però, non è l’unica polemica incentrata sulle armi francesi. Da mesi ci si interroga sul possibile utilizzo nella guerra in Yemen di armi francesi esportate in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi.

Proprio il 10 luglio il ministro delle forze armate francese Florence Parly ha presentato al parlamento di Parigi il suo rapporto annuale sulle esportazioni di armamenti francesi. Nella sua introduzione, Parly ha dichiarato che “i francesi hanno bisogno di trasparenza”.

Le parole del ministro non sono bastate a 19 ong francesi e internazionali che mercoledì hanno chiesto ai parlamentari francesi di fare il loro dovere controllando l’attività del governo e assicurandosi che la Francia non violi gli impegni internazionali vendendo armi all’Arabia Saudita e agli Emirati.

L’azione militare non sarà mai priva di segreti, ma la vicenda libica ci ricorda che siamo ancora molto lontani da un livello accettabile di trasparenza.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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