Qualche giorno fa una gioielleria di lusso ha presentato istanza di fallimento a Ginevra. Solitamente le disavventure di una gioielleria svizzera non avrebbero molto peso, ma in questo caso sono collegate a uno dei più grandi scandali di corruzione della storia africana, nello stato dell’Angola.

Grazie a un complesso meccanismo finanziario, la gioielleria in questione apparteneva per metà al marito di Isabel Dos Santos, figlia dell’ex presidente angolano José Eduardo Dos Santos, senza che l’uomo avesse dovuto sborsare un centesimo. Il denaro, infatti, proveniva dall’azienda statale angolana che si occupa di diamanti.

È solo un piccolo esempio della fortuna ammassata dalla donna e da suo marito, il congolese Sindika Dokolo, durante i tre lunghi mandati che hanno mantenuto Dos Santos al potere per trentotto anni, in uno stato estremamente ricco di petrolio. Ed è proprio alla guida dell’azienda petrolifera statale che Isabel Dos Santos ha costruito il suo impero personale.

José Eduardo Dos Santos ha lasciato il potere nel 2017. Sorprendendo tutti, il suo successore ha cominciato a smantellare l’impero della figlia e sta cercando di recuperare fino a un miliardo di dollari sottratti alle casse statali. Definita in passato “la donna più ricca d’Africa”, Isabel Dos Santos ora rischierebbe di essere arrestata se ritornasse nel suo paese.

Gran parte di ciò che sappiamo su questo scandalo colossale lo dobbiamo alle rivelazioni del Consorzio internazionale di giornalisti d’inchiesta, che recentemente ha diffuso i Luanda leaks con l’analisi di migliaia di pagine di documenti riservati.

È lecito interrogarsi sulla deriva di un regime, di un clan e di un uomo come José Eduardo Dos Santos

L’impatto della vicenda è duplice. Innanzitutto lascia sperare che il successore di Dos Santos abbia preso l’iniziativa per mettere il paese sulla buona strada e non solo per epurare il clan del suo predecessore. L’Angola è un paese molto ricco con una popolazione molto povera, dove un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà nonostante l’abbondanza di petrolio e diamanti. È arrivato il momento di usare le risorse per sviluppare il paese.

È lecito interrogarsi sulla deriva di un regime, di un clan e di un uomo, José Eduardo Dos Santos: ingegnere formatosi a Mosca, dirigente di un partito marxista-leninista e paladino della lotta contro l’apartheid, Dos Santos è riuscito a trasformare il suo paese in una cleptocrazia a beneficio della sua famiglia. Un simile naufragio morale ha dimensioni raramente eguagliate, tra l’altro in un paese che ha pagato un prezzo altissimo per liberare l’Africa dalle ultime vestigia coloniali.

I Luanda leaks permettono inoltre di mettere in discussione le complicità internazionali in questo ingranaggio di corruzione, dal Portogallo, dove è stata investita parte del denaro sottratto, alle istituzioni finanziarie che hanno chiuso un occhio davanti a evidenti manovre illecite.

La Francia non se la passa tanto meglio, se pensiamo alla vicenda dei “biens mal acquis” (beni sottratti ai paesi poveri) che vede alcuni protagonisti ancora al potere in Africa. La saggezza popolare ci insegna che bisogna essere in due perché si verifichi la corruzione, e ci ricorda di guardare in casa nostra prima di puntare l’indice contro qualcun altro. E speriamo che un giorno si sia in due anche per combattere contro la corruzione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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