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La tragedia di Idlib e l’irrilevanza della diplomazia europea 

Un campo per profughi siriani nella regione di Haram, al confine con la Turchia, 22 febbraio 2020. (Muhammed Said, Anadolu Agency via Getty Images)

Cosa può fare la diplomazia per fermare la tragedia umanitaria in corso nella regione di Idlib, nel nordovest della Siria? Se l’agitazione diplomatica fosse una garanzia di risultati si potrebbe sperare in una soluzione rapida per il calvario di quasi un milione di siriani, in fuga dall’offensiva del regime di Bashar al Assad sostenuto dall’aviazione russa. Ma purtroppo non è così, e questa agitazione rischia seriamente di non produrre risultati concreti.

Tra le iniziative recenti c’è l’appello lanciato il 26 febbraio da quattordici ministri degli esteri europei, che in una lettera aperta hanno chiesto al regime siriano e a Mosca di cessare immediatamente le ostilità. Il linguaggio usato è diretto, e le violazioni dei diritti umani sono chiamate con il loro nome davanti al bombardamento deliberato di scuole e ospedali. I ministri hanno addirittura evocato la possibilità di un ricorso alla giustizia internazionale.

Questo testo salva l’onore dell’Europa in un momento in cui la tragedia dei civili a Idlib sembrava svolgersi nel silenzio delle nazioni disunite. Certo, il documento comprende 14 firme e non 27, perché alcuni stati dell’Ue come Ungheria e Bulgaria sembrano non volersi allineare. Ma è sempre meglio un testo chiaro con 14 firme che un compromesso con 27 firme.

Realisticamente parlando, oggi un appello dei paesi europei non ha alcuna possibilità di impressionare Assad e Putin, ma ha comunque il merito di aver avviato una mobilitazione internazionale per ottenere la fine dei combattimenti.

Quella dei ministri, infatti, non è l’unica iniziativa recente. La settimana scorsa Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno tentato una mediazione telefonando insieme a Putin e al presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, le cui truppe sono presenti a Idlib e affrontano l’esercito siriano. La Francia e la Germania hanno proposto un vertice a quattro per cercare di trovare una via verso il cessate il fuoco. Putin, però, ha risposto che per il momento non se ne parla.

L’Europa non ha i mezzi per essere determinante

La diplomazia potrebbe inizialmente funzionare solo in un rapporto a due tra Putin ed Erdoğan includendo al massimo gli iraniani. Ma in quel caso si tratterebbe di piccoli accordi tra nemici.

L’Europa non ha i mezzi per essere determinante, e un’offerta di mediazione può avere successo solo nel momento in cui i belligeranti ne avessero bisogno o se un rifiuto potesse concretamente avere conseguenze negative.

Non è questo il caso, anche perché Assad non ha ancora riconquistato l’ultimo asse di comunicazione che gli interessa nel nordest del paese. Il punto debole degli europei, tra l’altro, è l’assenza di un piano alternativo se i loro appelli fossero respinti, soprattutto perché non esiste più un fronte comune tra l’Europa e gli Stati Uniti. L’amministrazione Trump sostiene la Turchia, laddove gli europei parlano di mediazione: è l’ennesimo esempio della divergenza transatlantica.

L’agitazione diplomatica è sicuramente meglio del silenzio assordante degli inizi dell’esodo da Idlib, ma rischia di essere il triste riflesso dei rapporti di forza attuali, le cui prime vittime sono i civili di Idlib, finiti in mezzo alla peggiore catastrofe umanitaria di questo secolo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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