L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha invitato l’Africa a “svegliarsi” davanti alla minaccia del coronavirus. Il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, originario dell’Etiopia, ha usato un tono emotivo e coinvolto: “L’Africa deve svegliarsi, il mio continente deve svegliarsi”, ha dichiarato.
Quando il virus ha oltrepassato le frontiere della Cina, il continente africano è sembrato inizialmente risparmiato dall’epidemia. Questa eccezione ha prodotto teorie strampalate secondo cui l’elevata temperatura o il colore della pelle nera avrebbero bloccato la malattia. Ora le cose sono cambiate.
Al momento sono stati ufficialmente registrati meno di mille casi in tutto il continente (la cui popolazione supera il miliardo di abitanti), ma è un dato sufficiente per stabilire che esistono focolai di contaminazione locali. A questo punto è indispensabile agire al più presto. I primi morti hanno fatto scattare l’allarme, a cominciare dal Burkina Faso, dove a perdere la vita è stata una vicepresidente del parlamento.
Sistemi sanitari inadeguati
Il primo riflesso è stato lo stesso scattato altrove: barricarsi. Le frontiere vengono chiuse e i voli cancellati. La Nigeria, paese più popoloso dell’Africa, ha vietato l’ingresso sul suo territorio a tutte le persone provenienti da uno stato dove si contano oltre mille casi. La Tunisia ha imposto il coprifuoco. All’altro capo del continente il Sudafrica, paese che conta 150 casi tra cui alcuni di contagio locale, ha dichiarato lo “stato di disastro nazionale”.
È evidente che l’Africa potrebbe essere il prossimo continente colpito dalla pandemia, dopo Asia, Europa e Nordamerica. Questa prospettiva è estremamente allarmante, perché in Africa i sistemi sanitari sono palesemente inadeguati a gestire l’emergenza.
Il continente africano ha trovato un nuovo “amico” nella Cina
Le potenziali difficoltà sono tante, ma si dividono in due categorie principali: quelle legate alla debolezza degli stati e delle infrastrutture sanitarie pubbliche e quelle politiche legate alla sfiducia nei confronti di governi contestati o assenti.
Perfino un paese come il Sudafrica, prima economia del continente, sta attraversando la più grave crisi economica, politica e morale dalla fine dell’apartheid, e il discorso pubblico non riesce imporsi su un’epidemia che sembra ancora lontana.
Le popolazioni africane hanno una discreta esperienza in merito alle emergenze sanitarie, dalla malaria all’hiv e all’ebola. L’ultima epidemia di ebola, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, è stata appena superata dopo aver provocato oltre duemila morti. Tra l’altro il lavoro del personale sanitario si è scontrato anche con un ostacolo inatteso, gli attacchi dei gruppi armati che accusano medici e infermieri di aver portato il virus. È il genere di reazione originata da false notizie o da calcoli politici che potrebbe compromettere la lotta contro il Covid-19.
Gli stati africani sanno che non possono contare sull’aiuto dei paesi occidentali, già alle prese con le loro difficoltà. Tuttavia il continente nero ha trovato un nuovo “amico” nella Cina, che ha moltiplicato i gesti di solidarietà e questa settimana ha organizzato una videoconferenza con i servizi sanitari di 24 paesi africani.
Per rendere efficace questa mobilitazione, però, sarà indispensabile che le società africane prendano coscienza della minaccia e decidano di affrontarla, soprattutto nei quartieri popolari delle megalopoli come Lagos o Nairobi, dove lo stato è poco presente. È un test cruciale per un continente la cui ricerca di modernità dovrà fare i conti con un nuovo nemico, per di più invisibile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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