Come ha fatto l’epidemia a diffondersi dall’epicentro di Wuhan al resto della Cina e del mondo? Il New York Times ha avuto accesso ai dati dei cellulari degli abitanti di Wuhan relativi a dicembre e gennaio, nelle settimane che hanno preceduto le misure di isolamento e in cui le autorità nascondevano ancora le informazioni sulla comparsa di un virus sconosciuto.
Il risultato è una visualizzazione spettacolare che rivela gli spostamenti di milioni di persone verso Pechino, Shanghai, Seoul, l’Europa e l’America. I dati mostrano anche in che modo i danni avrebbero potuto essere limitati con una risposta più tempestiva.
Quest’uso della tecnologia e delle enormi quantità di dati disponibili permette di comprendere meglio cosa è accaduto, ma anche di combattere più efficacemente la propagazione del virus.
L’Europa è in ritardo
Alcuni paesi fanno un uso intensivo dei dati. A cominciare dalla Cina, che ha adottato da anni tecnologie di sorveglianza che durante l’epidemia sono state usate per far rispettare le misure di isolamento. Ma anche altri paesi asiatici più democratici come la Corea del Sud o Taiwan hanno fatto ricorso alla tecnologia, con un certo successo. È anche grazie a questo approccio che la Corea del Sud è stata capace di contenere l’epidemia senza ricorrere all’isolamento, mentre Taiwan è riuscita a evitare la diffusione del virus nonostante gli scambi intensi con la Cina.
L’Europa, anche in questo ambito, è in ritardo, e non sarà certo l’uso dei droni da parte della polizia a cambiare la situazione.
Le società asiatiche hanno saputo adattare le tecnologie esistenti a un’emergenza
In Corea del Sud e a Taiwan la geolocalizzazione dei telefoni ha consentito di ricostruire gli spostamenti delle persone contagiate, rintracciando tutti quelli con cui erano entrate in contatto nei giorni precedenti.
Il tracciamento degli smartphone permette inoltre di sorvegliare le persone in quarantena. Gli abitanti di Taipei confinati in casa sono immediatamente richiamati all’ordine se decidono di allontanarsi, mentre alcuni programmi automatizzati contattano le persone regolarmente chiedendogli di riferire la propria temperatura corporea e verificando che si trovino dove dovrebbero essere.
Big data, intelligenza artificiale e geolocalizzazione hanno consentito alle autorità taiwanesi di fare prevenzione e al contempo di diffondere informazioni. A Taiwan i dati ufficiali sono stati comunicati in modo trasparente. Per esempio è possibile conoscere la quantità di mascherine disponibili in ogni farmacia.
Le società asiatiche si sono rivelate ben più reattive rispetto a quelle europee, dimostrando di poter adattare le tecnologie esistenti a un’emergenza. Inoltre sono evidentemente più tolleranti nei confronti dell’intrusione tecnologica nella vita privata delle persone.
La settimana scorsa lo storico israeliano Yuval Noah Harari, autore di Sapiens e Homo Deus, esprimeva sul Financial Times la paura di una generalizzazione della “sorveglianza sotto la pelle”, per usare le sue parole. Effettivamente queste tecnologie hanno risvolti potenzialmente liberticidi. Tuttavia, nel mezzo di una pandemia come quella di Covid-19, è difficile opporsi a innovazioni che potrebbero accelerare l’uscita dalla crisi. Ci sarà sempre tempo di preoccuparsi in un secondo momento…
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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