Alcune catastrofi naturali, nella storia, sono state un’occasione per superare barriere ideologiche o rivalità tra paesi. Finora non è stato il caso del nuovo coronavirus: l’ostilità tra l’amministrazione Trump negli Stati Uniti e l’Iran non ha tregua, malgrado i danni che la pandemia ha causato nei due paesi.
Washington mantiene le sanzioni contro l’Iran, che impediscono a Teheran di importare liberamente attrezzature mediche nonostante la sanità non rientri nell’ambito dell’embargo. Il problema è che le aziende straniere temono le rappresaglie statunitensi e si astengono.
Per questa ragione una ventina di personalità statunitensi ed europee hanno lanciato il 6 aprile un appello all’amministrazione Trump affinché allenti queste sanzioni nel nome della lotta contro la pandemia. Nell’elenco figurano ex segretari generali della Nato, ex ministri statunitensi di diverse amministrazioni repubblicane o democratiche e anche Federica Mogherini, ex capo della diplomazia europea che aveva negoziato l’accordo sul nucleare con l’Iran nel 2015.
Tesi semplice e coerente
È una lista di un certo peso, che rappresenta l’establishment occidentale, ma che purtroppo non ha grande influenza su Donald Trump. Il presidente statunitense ha rinnegato l’accordo con l’Iran, uno dei risultati più importanti ottenuti da Barack Obama, e ha ritirato la partecipazione degli Stati Uniti appena ne ha avuta l’occasione. In seguito Trump ha imposto sanzioni unilaterali, tra cui un blocco petrolifero.
Donald Trump pratica quella che viene chiamata strategia della “massima pressione”. In realtà sembra piuttosto un piano per rovesciare un regime che, secondo il presidente, sarebbe arrivato al capolinea. Di sicuro Trump non sembra disposto a invertire la rotta.
Il governo parla di un lento miglioramento, ma altre fonti dicono il contrario
La tesi dei firmatari dell’appello è semplice e coerente. Sottolineano che una pandemia riguarda tutto il pianeta e che “superare le frontiere per salvare delle vite è indispensabile per la nostra sicurezza, dunque è necessario andare oltre le divergenze politiche tra i governi”.
L’Iran, in effetti, è all’origine della diffusione del virus tra i paesi vicini, come l’Afghanistan (da cui provengono numerosi profughi che si trovano sul suo territorio), l’Iraq o i paesi della penisola arabica. Alcuni rivali dell’Iran, come gli Emirati Arabi Uniti, hanno inviato aiuti a Teheran, esattamente come i paesi europei. Ma con gli Stati Uniti resta l’impasse.
Eppure l’urgenza è evidente. L’Iran è uno dei paesi più colpiti dal covid-19, con sessantamila casi di contagio e ufficialmente circa 3.200 morti (in realtà sono sicuramente molti di più). Le informazioni sull’epidemia sono confuse. Il governo parla di un lento miglioramento, ma altre fonti dicono il contrario.
È sempre difficile tendere la mano a un avversario, tanto più che il regime di Teheran si è radicalizzato nell’avversità con il rilancio del programma nucleare, con l’attivismo delle milizie sciite in Iraq o ancora con il sequestro di cittadini stranieri, come dimostra il caso di Roland Marchal.
Tuttavia permettere all’Iran di combattere al meglio il nuovo coronavirus non significa appoggiare il suo regime. In gioco c’è prima di tutto la salute mondiale. Il problema è farlo capire a Washington.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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