È davvero il caso di chiudere l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)? La domanda può sembrare strana, considerando che il mondo sta affrontando una pandemia senza precedenti da un secolo a questa parte, tra l’altro proprio nel settore di competenza dell’Oms.
Eppure il 7 aprile Donald Trump ha annunciato di voler tagliare i finanziamenti statunitensi all’Oms, prima di fare marcia indietro e trasformare questa decisone in semplice minaccia. La ragione? Il presidente statunitense accusa l’organizzazione di essere eccessivamente legata alla Cina e di avere contribuito al tentativo di Pechino di minimizzare la portata dell’epidemia all’inizio dell’anno, ritardando quindi il momento in cui è stato possibile comprendere la gravità della situazione.
Il vero problema con Trump è che ogni sua presa di posizione diventa automaticamente sospetta. Ma in questo caso il presidente degli Stati Uniti solleva un problema reale, già posto da numerosi esperti molto critici riguardo al ruolo dell’Oms in questa crisi. Ma è davvero il momento adatto?
Scegliere il momento adatto
La reazione immediata, negli Stati Uniti, è stata quella di accusare il presidente di voler distogliere l’attenzione dai suoi stessi fallimenti, indicando un nuovo capro espiatorio. In precedenza Trump aveva accusato direttamente la Cina, prima di calmarsi un po’. Ora tocca all’Oms fare da bersaglio. Il direttore generale, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha risposto apertamente all’attacco di Washington: “Non trasformate il virus in una questione politica. Se non saremo uniti la situazione peggiorerà”.
In effetti non è il momento adatto. In un contesto in cui nella maggior parte dei paesi la crisi ha creato una sorta di unione nazionale e rinviato le critiche all’indomani della pandemia, per un capo di stato non è responsabile regolare i conti nel pieno dell’emergenza.
Il 28 gennaio il direttore generale dell’Oms ha elogiato la trasparenza del governo cinese
Tuttavia la critica non è necessariamente sbagliata solo perché proviene da Donald Trump. La questione del comportamento dell’Oms e dei suoi principali dirigenti, infatti, ha sollevato parecchi dubbi fin dall’inizio di questa crisi.
L’Oms ha diffuso senza battere ciglio la versione cinese, nonostante a Wuhan la verità fosse stata inizialmente nascosta. Il 14 gennaio scorso l’organizzazione ha dichiarato che non c’era ancora alcuna prova di una trasmissione da umano a umano, quando i medici sul campo avevano già verificato il contrario. Il 28 gennaio il direttore generale dell’Oms ha elogiato la trasparenza del governo cinese, lo stesso che aveva arrestato le persone che per prime avevano lanciato l’allarme a Wuhan. In seguito l’organizzazione è stata criticata per aver temporeggiato prima di dichiarare lo stato di pandemia. A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che l’Oms (su pressioni di Pechino) esclude dai propri ranghi Taiwan, il cui governo aveva avvertito l’organizzazione della gravità dell’epidemia senza mai ricevere risposta.
Donald Trump ha accusato l’Oms di essere “schierata in favore della Cina” e ha annunciato l’apertura di un’indagine. Il procedimento potrebbe condurre al blocco dei finanziamenti da parte degli Stati Uniti, di gran lunga il principale contributore con 400 milioni di dollari quest’anno. Se Trump mettesse in atto la sua minaccia, per l’organizzazione potrebbe essere un colpo fatale.
È vero, Trump politicizza la vicenda perché si trova in difficoltà. Ma è altrettanto vero che il problema del funzionamento dell’Oms dovrà essere affrontato in futuro. L’osservatorio mondiale delle malattie non dovrebbe essere indipendente dalle influenze degli stati?
Una cosa è certa, quando l’emergenza sarà superata avremo bisogno di un’analisi approfondita degli errori che hanno condotto a questa tragedia. L’Oms non potrà sfuggire alle sue responsabilità, e neppure Donald Trump.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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