Tutti avranno notato che questa pandemia si accompagna a una rivalità tra potenze raramente vista in simili circostanze. Per il momento è troppo presto per sapere chi ne uscirà rafforzato o indebolito, ma si possono comunque trarre alcune conclusioni in termini di “soft power”, il cosiddetto potere morbido.

Quello del soft power, come viene definito il potere persuasivo in opposizione al potere “hard”, ovvero quello militare, è un concetto sviluppato alla fine degli anni ottanta da Joseph Nye, professore statunitense. Nye ha descritto i meccanismi di un potere diverso da quello economico o militare. Nel suo caso si trattava dell’american way of life, di Hollywood e della pop art, capaci di consolidare l’influenza statunitense più di qualsiasi iniziativa militare.

I cinesi, appena usciti dal maoismo, rimasero affascinati dal concetto, al punto da tradurre le pubblicazioni di Joseph Nye e invitare il venerabile professore di Harvard a una serie di seminari e conferenze a Pechino. Sono passati trent’anni da allora, e la Cina continua a cercare di sviluppare la sua versione del potere persuasivo.

Il peggio di sé
Oggi è evidente che né gli Stati Uniti né la Cina hanno raggiunto risultati apprezzabili in termini di soft power, per ragioni diverse.

Sul versante statunitense la questione è piuttosto semplice: con lo slogan “America first”, Donald Trump ha messo in chiaro quanto poco gli importi del resto del mondo. Tuttavia, anche senza il contributo del presidente, gli Stati Uniti conservano comunque un certo soft power: Netflix, Zoom e Amazon sono stati nostri compagni durante l’isolamento, e anche questa è una forma di potere persuasivo.

Il problema è che questa volta non basta. Τrump è un presidente palesemente inadeguato e durante la pandemia ha dato il peggio di sé, passando dalle smentite al caos, all’egoismo e alla ricerca di un capro espiatorio. In questa crisi non c’è stata nessuna leadership né tantomeno un “modello americano”, come faceva notare spietatamente questa settimana un funzionario francese. Una situazione abbastanza rara nella storia.

La Cina di Xi Jinping è diventata l’altra superpotenza, non meno ambiziosa e calcolatrice degli Stati Uniti

La Cina, uscita per prima dall’epidemia nata sul suo territorio, ha tentato di imporre la sua narrativa, presentandosi come paese generoso con la “diplomazia delle mascherine”.

Ma Pechino ha vanificato i propri sforzi nelle relazioni pubbliche con una serie di comunicati aggressivi da parte dei suoi diplomatici. All’interno del paese la scelleratezza di Trump è bastata al governo cinese per soffiare sul fuoco del nazionalismo, ma per buona parte del mondo la Cina di Xi Jinping è diventata l’“altra” superpotenza, non meno ambiziosa e calcolatrice degli Stati Uniti.

Ecco dunque una crisi in cui nessuno dei due “grandi” è in grado di imporre il suo soft power. I veri vincitori, da questo punto di vista, sono paesi più piccoli come la Corea del Sud o Taiwan, in prima linea di fronte alla pandemia e capaci di ottenere risultati molto più significativi.

Nel 2019 una classifica internazionale del soft power aveva collocato la Francia in prima posizione, nella meraviglia generale. Attendiamo con impazienza la classifica del 2020. È probabile che non mancheranno le sorprese.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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