La guerra in Libia, a due passi dalle coste europee, finisce raramente sulle prime pagine dei giornali. Eppure l’internazionalizzazione del conflitto minaccia di scatenare una grave crisi nel Mediterraneo orientale, in cui sarebbe coinvolta anche la Francia.

Sul campo si registra la sconfitta del maresciallo Khalifa Haftar nel suo tentativo di conquistare Tripoli. L’esercito di Haftar, la cui base si trova nella zona orientale della Libia, era arrivato alle porte della capitale, ma recentemente ha perso buona parte del terreno guadagnato e rischia di perdere anche l’importantissima città di Sirte.

Tuttavia la posta in gioco in Libia va oltre il destino dei capi della guerra. Il conflitto, infatti, ha ormai assunto una dimensione internazionale. L’avanzata di Haftar è stata possibile grazie al sostegno degli Emirati Arabi Uniti e della Russia, mentre il governo di Tripoli ha potuto contrattaccare sfruttando l’aiuto decisivo della Turchia e del Qatar.

La situazione in Libia nell’aprile del 2019.

Questa equazione, oggi, minaccia gli equilibri nel Mediterraneo orientale e rende indispensabile una soluzione al conflitto libico. Al centro della nuova escalation c’è la Turchia, che in caso di successo da parte del governo di Tripoli otterrebbe una serie di benefici che preoccupano i rivali regionali.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha investito molto nell’iniziativa, convinto di poterne uscire vincitore non solo in termini di influenza in Libia ma anche nel braccio di ferro ben più importante sulle riserve di idrocarburi nel Mediterraneo orientale.

Acque agitate
Il 6 giugno si è svolto al Cairo un vertice organizzato dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, con la partecipazione di Haftar ma non del governo di Tripoli. L’iniziativa di pace annunciata nell’occasione è poco credibile, soprattutto considerando che arriva subito dopo il fallimento dell’offensiva di Haftar. L’obiettivo reale del vertice, comunque, era quello di spingere la Turchia sulla difensiva accusandola di rifiutare la pace. Erdoğan si muove in acque molto agitate, cercando di evitare gli scogli più pericolosi.

Sorprendentemente sul cammino di Ankara si frappone anche la Francia, sponsor discreto di Haftar e alleata degli Emirati Arabi Uniti. Da Parigi arriva una lunga lista di critiche nei confronti del presidente turco, accusato di esercitare un’inaccettabile “pressione strategica” nei confronti dell’Europa attraverso il proprio intervento in Libia.

A febbraio la Francia ha inviato la portaerei Charles de Gaulle nel Mediterraneo orientale, poco prima di essere colpita dal covid-19. Si è trattato evidentemente di una dimostrazione di forza rivolta alla Turchia, le cui navi per la ricerca di giacimenti erano state avvistate nella zona economica di Cipro, paese dell’Unione europea. Il faccia a faccia, tanto insolito quanto pericoloso, ha opposto due paesi che fanno parte della stessa alleanza militare, la Nato.

Dietro lo scontro tra i capi della guerra libici si nasconde un conflitto tra potenze nel Mediterraneo orientale. Se la Turchia continuerà a far leva sul suo vantaggio le tensioni sommerse rischiano di trasformarsi in una crisi aperta, con tutti i rischi che ne derivano.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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