L’amministrazione Trump aveva già inventato i “fatti alternativi”, ma ora ha sviluppato anche una “diplomazia alternativa” basata su una realtà parallela. Al centro di questa evoluzione c’è l’Iran. In vista delle elezioni di novembre, infatti, Donald Trump ha voluto imporre una dimostrazione di forza nei confronti del suo avversario Joe Biden.
Nel fine settimana Washington ha dichiarato che le sanzioni economiche multialterali contro Teheran previste dall’accordo sul nucleare del 2015 in caso di violazione dei suoi termini sono in vigore e devono essere rispettate in tutto il mondo. È il cosiddetto meccanismo di “snap-back”, o di ritorno alle sanzioni dell’Onu che erano state annullate proprio per facilitare la firma dell’accordo.
Il problema è che Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nel maggio 2018. Di conseguenza oggi appare difficile invocare la clausola di un trattato di cui gli statunitensi non fanno più parte. È quello che hanno fatto presente – in uno straordinario slancio di unità e fermezza – Francia, Germania e Regno Unito, che in quanto firmatari del trattato giudicano la posizione degli Stati Uniti “senza alcun effetto”.
Manovre per aumentare la tensione
In termini diplomatici gli europei hanno assestato un vero e proprio schiaffo agli Stati Uniti, il secondo nell’arco di pochi giorni dopo il voto contro Washington al Consiglio di sicurezza dell’Onu sullo stesso argomento. Per la Casa Bianca è una sconfitta cocente.
Ma questo non basta a distogliere gli Stati Uniti dal loro obiettivo. L’amministrazione Trump ha minacciato rappresaglie contro chiunque non imporrà le sanzioni, e a ben vedere ne ha tutti i mezzi, come dimostra il fatto che dal 2018, quando Washington ha abbandonato l’accordo sul nucleare, le grandi aziende europee si sono allontanate dall’Iran per paura delle conseguenze negative sul mercato americano.
A cinque settimane dal voto stiamo vivendo il momento chiave del calendario elettorale
Ci troviamo nella situazione paradossale in cui gli Stati Uniti impongono una misura senza alcun fondamento giuridico, affidandosi solo alla propria forza. Intanto la portaerei statunitense Nimitz è arrivata nello stretto di Ormuz, nei pressi dell’Iran. È una doppia manovra per aumentare la tensione.
A cinque settimane dal voto stiamo vivendo il momento chiave del calendario elettorale. L’Iran è uno dei temi di scontro tra i due candidati. Joe Biden, infatti, difende l’accordo del 2015, principale successo diplomatico di Barack Obama di cui Biden era vicepresidente. Il candidato democratico ha promesso di ripristinare l’adesione degli Stati Uniti all’accordo, con alcune condizioni.
Fino a che punto si spingerà Trump per mostrare la sua determinazione? È un interrogativo che preoccupa un po’ tutti. Al momento l’Iran resta sulla difensiva.
Come ha sottolineato l’ex ambasciatore francese Michel Duclos, oggi esponente del gruppo di analisi parigino Institut Montaigne, “gli iraniani hanno adottato un atteggiamento prudente, basato evidentemente sulla speranza di un cambio di amministrazione a Washington, e ritengono di avere tutto l’interesse a lasciare che gli americani ricoprano il ruolo dei cattivi”.
Ma se Donald Trump vincerà davvero le elezioni, uno scenario non impossibile, di sicuro affonderà il colpo contro l’Iran e farà pagare agli europei la loro sfrontatezza diplomatica. Se Trump sarà rieletto trasformerà la sua “diplomazia alternativa” nella realtà, costi quel che costi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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