In questi giorni è frequente la tentazione di collegare tutto alla transizione in corso a Washington. È il caso degli attacchi compiuti dall’aviazione israeliana nell’est della Siria il 12 gennaio, costati la vita a 57 persone secondo una ong indipendente siriana.
Negli ultimi anni Israele ha eseguito decine, forse centinaia di attacchi aerei in territorio siriano. Spesso il bersaglio sono stati i miliziani di Hezbollah, organizzazione libanese vicina all’Iran, o le installazioni iraniane a sostegno del regime di Bashar al Assad.
Tuttavia il raid del 12 gennaio è il più grave di questa lunga serie, e soprattutto è stato rivendicato, mentre generalmente Israele si è sempre rifiutato di commentare questi episodi. Inoltre l’azione nasce da una collaborazione con l’amministrazione Trump, solitamente più discreta in questo tipo di circostanze.
Scelta deliberata
Un funzionario israeliano ha addirittura rivelato che l’operazione era stata discussa alla vigilia in occasione di un incontro in un famoso ristorante di Washington tra il segretario di stato americano Mike Pompeo e il capo del Mossad israeliano, Yossi Cohen. La scelta del contesto lascia pensare che i due abbiano deliberatamente scelto di farsi vedere in pubblico.
Secondo il funzionario israeliano citato dai mezzi d’informazione l’obiettivo degli attacchi erano alcuni depositi contenenti armi iraniane e (precisazione importante) materiali legati al programma nucleare di Teheran.
I giornali israeliani hanno analizzato la squadra di Biden in funzione del trattato sul nucleare iraniano
Questa è senz’altro la chiave dell’operazione, perché l’amministrazione Trump e il governo israeliano condividono la stessa ostilità nei confronti dell’Iran, mentre Joe Biden non ha nascosto l’intenzione di provare a salvare l’accordo sul nucleare concluso da Obama nel 2015. Negli ultimi giorni i mezzi d’informazione israeliani hanno analizzato la composizione della squadra di Biden in funzione di un unico criterio: sia il segretario di stato Antony Blinken sia il consulente per la sicurezza nazionale Jake Sullivan sia il direttore della Cia William Burns sono stati associati al negoziato per l’accordo con l’Iran.
Da qui a pensare che i raid in Siria e il collegamento con il programma nucleare contengano un messaggio subliminale inviato all’amministrazione democratica il passo è breve.
Fedele a Trump
I rapporti tra Israele e Stati Uniti, insomma, non saranno comodi. Malgrado ciò che è accaduto la settimana scorsa al congresso e la procedura di destituzione in corso, il governo di Benjamin Netanyahu resta fedele a Donald Trump, considerato il presidente statunitense che più di ogni altro ha sostenuto Israele.
Netanyahu, di contro, aveva rapporti pessimi con Obama e si era opposto con tutte le sue forze alla firma dell’accordo con Teheran, arrivando a pronunciare un discorso davanti al congresso statunitense per invitare i parlamentari a osteggiarlo.
La battaglia ricomincia con l’avvento di un’amministrazione legata all’epoca Obama e decisa a riallacciare i rapporti con l’Iran, in un contesto diverso rispetto al passato. Oggi, infatti, Netanyahu si sente più forte grazie ai nuovi rapporti con i paesi del Golfo, in particolare con l’Arabia Saudita, ferocemente ostile all’Iran.
La squadra di Biden è avvertita: non avrà amici in questa parte del mondo. Ma probabilmente lo sapeva già prima dei raid israeliani in Siria.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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