Mentre gli Stati Uniti si preparano e convivere a lungo con l’eredità di Donald Trump, il resto del mondo non vede l’ora di voltare pagina, e infatti è già passato ad altro.
Per accorgersene basta fare caso a come alcuni alleati di Trump, dal primo ministro britannico Boris Johnson ai leader di estrema destra che fino a ieri sbandieravano il loro sostegno, oggi facciano finta di non conoscerlo.
Cosa resterà del “trumpismo” sulla scena internazionale? La risposta è complessa, perché bisogna distinguere tra i rari successi diplomatici degli ultimi quattro anni, come i recenti accordi tra Israele e diversi paesi arabi, e i cambiamenti di fondo che l’amministrazione uscente ha tentato di imporre con i ripetuti colpi assestati al multilateralismo.
La Cina e la globalizzazione
Poi c’è tutto quello che Trump non è riuscito a ottenere, a cominciare dalla de-nuclearizzazione della Corea del Nord, senza dubbio l’iniziativa più ambiziosa del suo mandato. Dopo due vertici con Kim Jong-un e uno scambio di “lettere d’amore”, Pyongyang è ancora in possesso dell’arma atomica e si è addirittura permessa il lusso di una parata miliare con un nuovo modello di missile.
L’impatto di Donald Trump si farà sicuramente sentire in due ambiti. Il primo è la politica cinese: il presidente ha intuito la necessità di inasprire i toni con la Cina, innanzitutto per via del suo impatto sugli Stati Uniti, tra delocalizzazione, deficit commerciale e pirateria tecnologica.
Trump è stato eletto perché ha capito che molti americani si considerano vittime della globalizzazione
Barack Obama aveva già avviato una svolta alla fine del suo mandato, ma è stato Trump a trasformare il rapporto con la Cina in un asse portante della politica americana, prima scatenando una guerra commerciale, poi attaccando le aziende tecnologiche cinesi e infine creando un clima di guerra fredda attorno al nuovo rivale strategico. Il problema è che il presidente ha fatto tutto questo “alla Trump”, ovvero in modo unilaterale e incoerente. Nel frattempo ha suscitato un raro consenso bipartisan a Washington che peserà sulle scelte di Joe Biden.
L’altro ambito in cui l’operato di Trump avrà forti ripercussioni riguarda il rapporto tra la politica estera e la situazione individuale degli statunitensi. Trump è riuscito a farsi eleggere perché ha capito che molti americani si considerano vittime della globalizzazione. Il presidente non ha fornito una risposta reale a questo problema, ma il tema è ormai al centro del dibattito politico, tanto che anche di questo Biden dovrà tenere conto.
La principale debolezza
Esiste una “dottrina Trump” in politica internazionale? La filosofia di Trump si riduce a uno slogan: “Make America great again”. Questa parola d’ordine nazionalista è stata vissuta nel resto del mondo come una posizione aggressiva da parte di un uomo imprevedibile che vede il mondo solo in termini di vincitori e “perdenti”.
L’incapacità di Trump di immaginare un mondo che vada al di là dei rapporti di forza è stata la sua principale debolezza. Questo spiega come mai lo rimpiangerà solo un manipolo di leader autoritari e demagoghi.
Trump lascia dietro di sé un mondo profondamente destabilizzato: la sua erosione del sistema multilaterale (sicuramente imperfetto) ha aperto l’enorme cantiere della ricostruzione, resa ancora più difficile dalla pandemia. Dimenticare Trump non sarà difficile. Molto più complicato sarà ricostruire, con gli Stati Uniti indeboliti e divisi e un mondo caotico.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it