Negli ultimi giorni, su internet, è accaduto qualcosa di eccezionale: un vento di libertà ha sferzato un paese i cui leader vorrebbero controllare tutto ciò che i cittadini dicono, pensano e sanno. Come tutte le primavere, però, questo momento è stato effimero. E così l’8 febbraio, in Cina, è suonata la fine della ricreazione.

Il social network in questione si chiama Clubhouse, ed è l’ultima moda di internet. Clubhouse è molto ricercato, anche perché vi si accede su invito. La novità è l’organizzazione dei dibattiti sotto forma di “stanze audio”, senza video e senza iscrizione. La moderazione è molto strutturata in ogni stanza tematica, che può accogliere fino a cinquemila partecipanti.

La piattaforma, nata pochi mesi fa negli Stati Uniti, è in forte crescita. Negli ultimi giorni ha registrato una valanga di accessi di utenti cinesi, dai quattro angoli del pianeta: dalla Cina continentale, dalla diaspora, da Taiwan, da Hong Kong o addirittura dalle minoranze uigure e tibetane. I dibattiti sono stati talmente liberi che l’8 febbraio Pechino ha bloccato l’applicazione, tra l’altro già inaccessibile agli utenti del continente sprovvisti di Vpn, il sistema per aggirare le limitazioni geografiche.

Maratone su temi tabù
Cosa ha messo paura alla Cina? Contrariamente alla maggior parte dei social network diventati terreno di scontro, Clubhouse (forse perché nuovo) è caratterizzato dal rispetto della parola di chi interviene. Non si litiga, non si alza la voce. Al contrario, si cerca di essere costruttivi.

Nel fine settimana migliaia di sinofoni hanno partecipato a maratone di dibattiti su argomenti tabù in Cina, come la sorte degli uiguri o il ricordo del massacro di Tiananmen. Il 6 febbraio una “stanza” è andata avanti per sei ore senza interruzione, con i partecipanti cinesi che hanno espresso una grande soddisfazione per aver potuto interagire in libertà e con rispetto.

Il “momento cinese” ha permesso a internet di riallacciarsi allo spirito libertario degli inizi

Quando un uomo di Shanghai ha manifestato dubbi sull’esistenza dei campi di rieducazione degli uiguri, denunciati dalla stampa occidentale, una giovane uigura gli ha risposto raccontando la storia dei suoi familiari restati nello Xinjiang e internati. In Cina, oggi, non esiste alcuno spazio per discussioni di questo tipo.

Cosa resterà di questo momento di libertà? Intanto la frustrazione per il fatto che la mannaia sia calata così presto. Ma anche la consapevolezza, come hanno sottolineato con entusiasmo numerosi partecipanti l’8 febbraio, che oggi sia ancora possibile discutere senza scontrarsi, in un mondo cinese polarizzato e tormentato da correnti ideologiche e dai rancori accumulati attraverso la repressione e i conflitti.

Clubhouse intanto va avanti, con le sue stanze in tutte le lingue. Esistono già nutrite comunità di lingua italiana o francese, soprattutto legate al mondo della tecnologia. In ogni caso il “momento cinese” ha permesso a internet di riallacciarsi allo spirito libertario degli inizi, prima che le forze della discordia e del denaro inquinassero quegli spazi di libertà che un tempo erano i social network.

Forse anche Clubhouse andrà incontro alla stessa sorte. Ma in fondo è questa la natura della rivoluzione digitale permanente: cercare senza sosta il Graal dello scambio e della condivisione, nonostante i forti venti contrari.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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