È difficile stare dietro a tutte le iniziative del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, in politica estera come in quella interna. Nell’arco dell’ultimo fine settimana Erdoğan ha preso due decisioni cruciali che lo hanno spinto in rotta di collisione con due categorie molto diverse: le donne e gli investitori.

In primo luogo il presidente turco islamco-conservatore ha deciso di ritirare la Turchia da un trattato internazionale contro gli abusi nei confronti delle donne che impone agli stati di introdurre leggi contro la violenza domestica e la mutilazione genitale. Il paradosso è che il testo è conosciuto con il nome di Convenzione di Istanbul, perché è nella metropoli turca che è stato firmato dieci anni fa, quando Erdoğan era già al potere. Secondo il governo turco il testo danneggerebbe “l’unità” delle famiglie in Turchia.

Da sabato migliaia di donne scendono in piazza a Istanbul per protestare, mostrando i ritratti delle donne uccise dai congiunti. In Turchia la violenza coniugale è un flagello, e il numero di vittime è in costante aumento.

Accelerazione nazionalista
Erdoğan ha scelto di corteggiare la sua base elettorale tradizionale, ovvero la parte più conservatrice della Turchia, un paese che presenta ancora una profonda separazione tra modernità e tradizione. Questa polarizzazione è particolarmente marcata tra le donne.

L’anno scorso Erdoğan, capo del partito islamico-conservatore Akp, ha perso il controllo del comune di Istanbul, città più aperta del paese, e ora ha inviato un messaggio chiaro ai suoi elettori: il governo ha voluto spingere sul pedale del nazionalismo bocciando un trattato internazionale che ritiene un’ingerenza nelle scelte della Turchia, e lo fa sulla pelle delle donne, per l’ennesima volta.

Erdoğan ha l’abitudine di governare alzando continuamente la posta

Erdoğan si è attirato le critiche dell’Europa ma anche, fatto non indifferente, quelle del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che si è detto “estremamente deluso” dalla decisione, definita “un passo indietro”. I rapporti tra Washington e Ankara si annunciano tutt’altro che tranquilli dopo l’uscita di scena di Donald Trump.

La seconda decisione controversa presa da Erdogan è il brutale licenziamento del governatore della banca centrale turca, colpevole di aver fatto salire i tassi d’interesse. L’allontanamento, arrivato il 19 marzo, è il terzo in due anni, e ha provocato il crollo della lira turca sui mercati internazionali.

Erdoğan ha l’abitudine di governare alzando costantemente la posta. Dopo il fallito colpo di stato del 2016 il presidente ha imposto una purga massiccia all’interno dello stato e della società turca, minando la democrazia e lanciandosi in operazioni militari senza precedenti all’estero.

Erdoğan ha ottenuto diversi successi, ma le sconfitte alle elezioni municipali dell’anno scorso e le tensioni internazionali che ha scatenato lo obbligano a restare in movimento perpetuo per non perdere il potere.

Con una situazione finanziaria critica, un paese di cui fomenta le divisioni e i rapporti estremamente tesi con gli alleati della Nato (per non parlare della relazione ambigua coltivata con Vladimir Putin) Erdoğan non è affatto sereno come vorrebbe far credere con la sua postura da “uomo forte”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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