I leader europei provano a riconquistare Erdoğan
Fino a qualche settimana fa i 27 paesi dell’Unione europea erano pronti a imporre sanzioni alla Turchia a causa della sua aggressività nel mar Egeo e di altre attività. Ora invece Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Charles Michel, presidente del consiglio europeo, si trovano ad Ankara per tentare la via della distensione.
Cosa ha provocato questa inversione di rotta? Dall’inizio dell’anno il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si mostra più conciliante con l’Europa. Erdoğan ha ritirato le sue navi per l’esplorazione dei giacimenti dalle acque contese, ha riavviato il dialogo con la Grecia e ha rilasciato una serie di dichiarazioni miranti a distendere il clima.
Nel 2020 la Turchia aveva continuato a moltiplicare le provocazioni all’indirizzo di paesi dell’Unione, inviando deliberatamente migliaia di profughi verso la frontiera greca, portando avanti una strategia della tensione nel Mediterraneo e nel Caucaso e aggredendo verbalmente il presidente francese Emmanuel Macron e gli europei in generale.
Segnali di distensione
Come mai Erdoğan ha cambiato orientamento? Innanzitutto l’elezione di Joe Biden negli Stati Uniti ha modificato la situazione. Erdoğan sapeva trattare con Donald Trump a proprio vantaggio, mentre con Biden i rapporti sono evidentemente più tesi. Il nuovo presidente non apprezza né il rapporto ambiguo tra Ankara e la Russia né la situazione dei diritti umani in Turchia. Il leader turco ha strategicamente bisogno di abbassare i toni con l’Europa considerando che rischia di sviluppare un rapporto conflittuale con gli Stati Uniti.
Ma esistono anche segnali inviati dagli europei, divisi in merito al comportamento da tenere con il presidente turco. La Francia spinge da mesi per una posizione inflessibile, mentre la Germania, sempre prudente a causa della numerosa comunità turca sul suo territorio, preferisce temporeggiare.
Gli europei, tra l’altro, non si sono presentati in Turchia a mani vuote, ma hanno annunciato il via libera al rinnovo del contestato accordo del 2016 sull’immigrazione, con cui l’Unione ha versato sei miliardi di euro alla Turchia ottenendo in cambio l’impegno a trattenere tre milioni di profughi siriani all’interno dei suoi confini. I 27 vorrebbero rinnovare l’accordo e sono pronti a mettere mano al portafogli. A questo aggiungono un impegno a “modernizzare” l’Unione doganale con la Turchia, un segno positivo in un momento in cui l’economia turca è in grandi difficoltà.
L’Europa, dunque, ha tirato fuori il libretto degli assegni al posto delle sanzioni. È il grande paradosso dell’intera vicenda. Certo, nessuno vorrebbe uno scontro con la Turchia, ma scegliendo ogni volta la distensione l’Europa non verrà mai presa sul serio dalle potenze aggressive alle sue porte: in questo caso la Turchia, ma vale lo stesso per la Russia.
Tra l’altro Erdoğan non sembra intenzionato a rinunciare al suo crescente autoritarismo. il 5 aprile il presidente ha fatto arrestare una decina di ammiragli in pensione colpevoli di aver firmato una lettera aperta rivolta al presidente, mentre la settimana scorsa ha ritirato la Turchia da una convenzione internazionale sulla violenza contro le donne. La società civile turca, intanto, è ridotta al silenzio.
A Von der Leyen e Michel servirà molto talento per impedire che la visita ad Ankara si trasformi in un viaggio a Canossa, ovvero in un umiliante compromesso.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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