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La Cina censura l’Oscar a Chloé Zhao

Il discorso di Chloé Zhao durante la cerimonia degli Oscar a Los Angeles, il 25 aprile 2021. (Todd Wawrychuk, Getty Images)

Nella maggior parte dei paesi del mondo la notizia che un proprio concittadino ha vinto un Oscar sarebbe motivo di vanto e gioia. Ma non in Cina, dove la sera del 25 aprile il trionfo di Chloé Zhao è stato censurato. Zhao, nata a Pechino, è la regista di Nomadland, film che ha ottenuto tre statuette tra cui quella di miglior regia e miglior film.


La censura la dice lunga sui punti deboli di un regime che vuole mantenere un’immagine forte ma si rifiuta di accettare la minima nota dissonante, come se la potenza della Cina millenaria fosse costantemente minacciata. A uscire palesemente indebolito dalla vicenda è anche il soft power cinese, il potere attrattivo di un modello.

Per la prima volta da anni, la cerimonia degli Oscar non è stata trasmessa in diretta dalla tv cinese. Sui social network i commenti di gioia e orgoglio sono stati cancellati. Alcuni Vpn, i sistemi che permettono di aggirare le restrizioni online, sono stati neutralizzati durante l’evento.

Pretesti nazionalisti
La spiegazione è semplice: dopo aver esultato per i primi successi di Zhao, che da mesi continua ad accumulare premi, i cinesi hanno scoperto una vecchia intervista concessa nel 2013 a una rivista di cinema in cui la donna ammetteva di aver trascorso in Cina un’infanzia “circondata dalle menzogne”.

I nazionalisti online, molto attivi e aggressivi nonché incoraggiati dal Partito comunista, hanno scatenato una campagna contro Zhao, diventata l’incarnazione dell’ingratitudine per la patria, una “donna a due facce”. Perfino i genitori della ragazza (il padre lavora in un’azienda statale, la madre è attrice) sono stati accusati di aver educato male la figlia privilegiata.

La vicenda rivela l’insicurezza che regna al vertice del Partito comunista e dello stato cinese

Il paradosso è che Zhao è tutto fuorché una dissidente. È stato necessario tornare indietro di otto anni per trovare una dichiarazione critica nei confronti della Cina. Il suo film, tra l’altro, mostra i difetti della società americana, non di quella cinese. Zhao è semplicemente una ragazza cinese libera, ma a quanto pare questo è già troppo.

La vicenda rivela l’insicurezza che regna al vertice del Partito comunista e dello stato cinese. Le autorità hanno censurato la cerimonia perché temevano che servisse da tribuna per le critiche, ma la regista si è dimostrata più forte. Zhao ha recitato la prima frase di una poesia cinese imparata dal padre: “Alla nascita tutti gli uomini sono buoni”.

Se il numero uno cinese Xi Jinping, anziché censurarla, l’avesse chiamata per farle i complimenti, avrebbe potuto valorizzare la vitalità della cultura cinese e magari mostrare agli americani un’altra immagine del suo paese. E invece si è tirato la zappa sui piedi.

In questo clima di scontro, Pechino pretende lealtà assoluta da parte dei suoi cittadini e vuole ridurre al silenzio chiunque non sia disposto a concederla. Ma a farne le spese è la strategia cinese basata sulla seduzione e sull’acquisto di influenza a Hollywood. Il denaro non basta a costruire un soft power solido, serve anche la capacità di attrazione. La Cina, evidentemente, non ne è capace.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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