Tutti gli ingredienti degli scontri violenti a cui assistiamo a Gerusalemme Est sono ben noti da decenni. Dato che in Francia commemoriamo l’elezione di François Mitterrand, esattamente quarant’anni fa, permettetemi di citare una frase del suo discorso pronunciato alla knesset, il parlamento israeliano, il 4 marzo 1982 , pietra miliare per la sua presa di posizione a favore di uno stato palestinese. In quell’occasione Mitterrand dichiarò, con il tono di un consiglio amichevole: “Nessuno dubita che esista un problema e che questo problema, se irrisolto, avrà un peso tragico e duraturo su questa regione del mondo”.

I problemi della regione non sono ancora stati risolti, e si ripresentano regolarmente. Al centro di tutto c’è Gerusalemme, il luogo di tutte le crisi politiche, religiose, territoriali, identitarie ed economiche, il tutto in pochi chilometri quadrati che affondano le loro radici nella notte dei tempi.

L’esplosione di violenza degli ultimi giorni, di una portata mai vista dopo le intifada degli anni ottanta e duemila, mescola tutti questi elementi, con i soliti noti che si nutrono delle crisi e dei conflitti.

Senza diritti
Questi incidenti evidenziano prima di tutto che lo status quo è fragile e che chi analizza la perdita di “centralità” della questione palestinese nei rapporti tra Israele e il mondo arabo si sbaglia se pensa che il problema svanirà da sé.

In ballo c’è il carattere palestinese di Gerusalemme Est, considerata come territorio occupato dalla risoluzione 242 delle Nazioni Unite ma annessa da Israele dopo la guerra del 1967. Nella zona vivono 250mila palestinesi, e questa esplosione di violenza è stata causata dall’attacco contro il quartiere storico di Sheikh Jarrah da parte di un gruppo israeliano mosso da evidenti motivazioni ideologiche. Queste persone stanno cercando di riappropriarsi di alcune abitazioni occupate dagli ebrei prima del 1948 in nome di una legge che non prevede alcuna reciprocità: i palestinesi che si sono trasferiti nel quartiere dopo essere stati espulsi da Gerusalemme Ovest nel 1948 non hanno alcun diritto, secondo queste norme.

C’è la pressione costante delle autorità israeliane per separare il problema di Gerusalemme dal resto della questione palestinese

Il 10 maggio la corte suprema israeliana avrebbe dovuto emettere il suo verdetto in merito a un tentativo legale di espulsione di tredici famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah, ma la decisione è stata rinviata a causa delle violenze degli ultimi giorni.
Questa non è l’unica causa delle tensioni, ma ne è il detonatore. Gli argomenti di scontro sono tanti. In pieno Ramadan c’è prima di tutto l’accesso alla moschea Al Aqsa e alla Cupola della roccia, luoghi sacri dell’islam dove il 7 maggio ci sono stati violenti incidenti. Poi c’è la pressione costante delle autorità israeliane per separare il problema di Gerusalemme dal resto della questione palestinese.

In Israele operano forze politiche di estrema destra ormai legate a Benjamin Netanyahu e decise a espellere i palestinesi da Gerusalemme. Il mese scorso abbiamo assistito a una serie di cacce all’uomo condotte da estremisti religiosi israeliani nella più totale impunità.

Sul fronte palestinese il presidente Abu Mazen approfitta della situazione prolungando in eterno il suo mandato sfruttando l’impossibilità di organizzare elezioni a Gerusalemme Est. La democrazia si trova chiaramente in difficoltà.
Al di là degli incidenti, si pone ancora una volta il problema della condizione dei palestinesi in assenza di uno stato, insieme alla problematica lancinante di un apartheid che è anche la conseguenza dell’assenza di una soluzione. Questo è il messaggio delle violenze di Gerusalemme, un messaggio che nessuno vuole ascoltare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si iscrive qui.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it