Difficile credere che appena sei mesi fa i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico fossero carichi di sfiducia e irritazione costante. Joe Biden arriverà questa settimana in Europa per una serie di eventi diplomatici (G7, Nato, Unione europea) talmente pacificati che viene quasi da rimpiangere gli eccessi di Trump!

L’eccezione è rappresentata dall’ultimo giorno in cui Biden si troverà nel vecchio continente. Il 16 giugno, infatti, il presidente degli Stati Uniti incontrerà Vladimir Putin, in un vertice che rischia di essere più vicino alla brutalità del mondo attuale che alla routine diplomatica.

Biden ha fatto tutto il possibile per ripristinare una relazione all’antica con gli alleati europei, quando ormai sembrava un ricordo lontano. In occasione del suo primo vertice della Nato, infatti, Trump aveva definito “obsoleta” l’alleanza atlantica, mentre nel 2019 era stato il presidente francese Emmanuel Macron a parlare di “morte cerebrale” a proposito dell’alleanza militare tradizionalmente guidata da Washington. Nel 2021, però, la Nato ha ritrovato vigore, e anche la Francia giura che la sovranità europea rivendicata a gran voce dall’Eliseo è perfettamente compatibile con la Nato.

Motivi di inquietudine
È innegabile che Biden e la sua squadra abbiano ripristinato la fiducia, ma resta il fatto che dietro lo slogan “America is back” si nascondono ancora motivi di inquietudine.

Questi dubbi sono di due ordini. Da un lato Joe Biden riprende il concetto di alleanza, ma lo fa in nome della leadership statunitense. Le vecchie abitudini unilaterali sono dure a morire, e d’altronde c’è un motivo se gli Stati Uniti sono considerati una superpotenza. Un esempio arriva dal ritiro dall’Afghanistan: Biden l’ha deciso mettendo davanti al fatto compiuto i paesi europei che ancora mantengono un contingente nel paese.

La parola democrazia compare tredici volte in un commento di Biden sul Washington Post

L’altro timore riguarda l’ossessione cinese degli Stati Uniti. Gli europei condividono le critiche statunitensi nei confronti di Pechino su tanti argomenti, compresi i diritti umani. Ma al contempo non vogliono farsi trascinare in una nuova guerra fredda che oggi è l’unico argomento a unire i repubblicani e i democratici al congresso. L’aggressività di Pechino non aiuta, e spinge gli europei verso la linea di Washington e verso un’ulteriore polarizzazione del mondo.

Anche sul tema della democrazia, su cui Biden ha posto l’accento (la parola compare addirittura tredici volte in un suo intervento pubblicato dal Washington Post a proposito del suo viaggio in Europa) emerge un’inclinazione statunitense all’utopia messianica che non sempre è stata di buon auspicio.

Nel passaggio da Trump a Biden gli europei ci hanno senz’altro guadagnato, ma gli eventi degli ultimi mesi negli Stati Uniti hanno lasciato tracce profonde. Un sondaggio condotto in undici paesi dal German Marshall fund indica che non esiste un “effetto Biden” sull’opinione pubblica europea, come se questa temesse che i democratici saranno solo un intermezzo fra Trump e un altro nazionalista (se non lo stesso Trump).

È questa l’ambiguità del rapporto tra gli europei e gli Stati Uniti: i due poli si infastidiscono quando sono troppo vicini e si preoccupano quando si allontanano. È anche il limite del discorso francese sull’autonomia strategica europea: tutti sono favorevoli, a condizione di non spingere il grande fratello americano a farsi da parte.

Un vincolo tanto più evidente ora che ha il volto amichevole di Biden, come sicuramente verificheremo nei prossimi giorni durante la sua visita sul suolo europeo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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