Mai prima d’ora un partito aveva celebrato il proprio anniversario in modo così stravagante. A ben vedere esistono motivi buoni e meno buoni per cui il Partito comunista cinese festeggia il suo centesimo compleanno con una grandiosità solitamente riservata alle feste nazionali.

La principale ragione è precisamente questa: far passare l’idea secondo cui il partito e lo stato cinese sono la stessa cosa. Fin dai primissimi anni di scuola, i bambini cinesi imparano una canzone gioiosa che recita: “Senza partito comunista, niente nuova Cina”. L’idea che non si possa distinguere il partito dal paese costituisce l’approccio basilare dei leader cinesi.

Questo concetto permette al governo di respingere qualsiasi critica politica rivolta al partito definendola “anticinese”. In questo modo i vertici creano un riflesso nazionalista attorno al regime. Oggi Pechino celebra questa ambiguità del comunismo in versione cinese.

Limpronta del nazionalismo
I leader cinesi non vogliono che si possa dubitare del loro “cuore rosso”, come dicono in Cina. Abbiamo visto l’intero ufficio politico del partito, con in testa Xi Jinping, ripetere in coro (e con il pugno chiuso) il giuramento di lealtà e fedeltà al partito e alla sua dottrina. All’inizio della settimana l’ambasciatore cinese a Londra ha perfino deposto una corona di fiori sulla tomba di Karl Marx in occasione del centenario.

Tuttavia, senza voler mettere in dubbio le convinzioni ideologiche, nella postura e nei discorsi del leader cinesi c’è poco marxismo e parecchio nazionalismo. Questo “socialismo alla cinese” non ha più molti legami con la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, e si riferisce alla potenza nazionale e alla grandezza di una Cina che non solo rivendica l’eredita maoista ma si inscrive nella continuità di una storia millenaria, un tempo criticata come feudale e oggi esaltata in nome della fine della parentesi del “secolo di umiliazione” imposto dall’occidente all’impero di mezzo.

L’assolutismo totalitario funziona solo grazie al successo economico

Un tempo si discuteva dell’ipotesi di costruire il socialismo in un solo paese; ma la Cina di oggi non si pone domande, perché anche se l’idea di un “modello cinese” è emersa qua e là, il partito è concentrato su se stesso.

Questo nazionalismo poggia su una storia rivisitata e riscritta per smussarne gli angoli. Quelli che se ne allontanano, come gli studenti per la democrazia (in piazza Tiananmen ieri e a Hong Kong oggi) o gli uiguri che non provengono dalla stessa cultura, ne fanno le spese e vengono combattuti.

Questo assolutismo funziona solo grazie a un successo economico che nessun regime totalitario aveva mai saputo ottenere. È la forza del partito di Xi Jinping, nonché la debolezza delle critiche occidentali che non riescono a intaccare il discorso dominante.

Per questo oggi in Cina il partito comunista riesce a far condividere l’orgoglio per il proprio centenario a una maggioranza di cinesi. Per il meglio e per il peggio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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