Quando il parlamento europeo ha creato nel 1988 il premio Sakharov per onorare il grande scienziato e dissidente sovietico, l’Urss viveva i suoi ultimi anni, anche se ancora non lo sapevamo. Trent’anni dopo, il premio è stato assegnato a un altro dissidente russo, Alexej Navalnyj , simbolo di una storia che da questo punto di vista sembra non progredire.
Paragonare Andrej Sakharov e Alexej Navalnyj non ha senso, perché le due epoche sono troppo diverse. Tuttavia è inevitabile constatare che la Russia postsovietica non si è liberata dai metodi oppressivi del passato. La sorte di Navalnyj evidenzia le tendenze repressive che caratterizzano tutti i regimi autoritari.
Sarebbe sorprendente se l’oppositore russo fosse autorizzato, come chiede il parlamento europeo, a lasciare la colonia penitenziaria per recarsi a Strasburgo e ricevere un premio che, secondo le parole del presidente David Sassoli, gli è stato assegnato “per aver combattuto la corruzione del regime di Vladimir Putin, pagando con la libertà e quasi con la vita”.
Una scelta impossibile
Segno di un mondo che va a rotoli, i voti degli eurodeputati si sono divisi tra Navalnyj, sostenuto dai conservatori e dai liberali, e le donne afgane, difese dai socialdemocratici e dagli ecologisti. Una scelta impossibile tra due cause che illustrano due aspetti delle minacce che incombono sul mondo attuale.
La scelta di premiare Navalnyj è dovuta naturalmente anche al legame tra la sua storia personale e l’Europa. È dalla Germania, infatti, che il 17 gennaio scorso l’oppositore è partito per Mosca dopo essere miracolosamente scampato a un tentativo di avvelenamento mentre si trovava nell’est della Russia. Arrestato al suo arrivo a Mosca, Navalnyj sta scontando una pena a due anni e mezzo nella colonia penale numero 2, a est della capitale russa.
Il premio Sakharov avrà il merito di attirare l’attenzione sull’arbitrarietà della condanna
In una dichiarazione rilasciata al New York Times ad agosto, Navanlyj ha raccontato la sua prigionia, spiegando di essere costretto a guardare la tv di stato e film di propaganda per otto ore al giorno nel quadro di un piano di rieducazione dei prigionieri. Di sicuro questo non basterà a piegare un uomo che nella sua vita da attivista ha vissuto ben altro.
Il premio Sakharov avrà comunque il merito di attirare l’attenzione sull’arbitrarietà della condanna. Lo stesso vale per il recente premio Nobel assegnato alla giornalista filippina Maria Ressa e al giornalista russo Dmitrij Muratov, per il loro impegno nella difesa della libertà di informazione.
Un sistema autocratico
Tuttavia questo premio non modificherà la posizione di Putin, che evidentemente si è sentito minacciato dalla militanza di Navanlyj, spauracchio della corruzione del regime e che, in un contesto politico normale, sarebbe nelle condizioni di rivaleggiare con il padrone del Cremlino.
Il regime russo e i suoi alleati sottolineeranno immancabilmente le zone d’ombra del passato di Navanlyj, che un tempo ha sostenuto posizioni nazionaliste e xenofobe. Ma quegli episodi, ormai noti, non intaccano la popolarità di Navalnyj, soprattutto tra i giovani che subiscono le conseguenze di un pesante sistema autocratico.
In ogni caso lo spazio politico occupato un tempo da Navalnyj e dai suoi amici è stato cancellato. Come sottolineano gli autori di un libro appena pubblicato in Francia, intitolato “Navalnyj, l’uomo che ha sfidato Putin”, “non è esagerato sostenere che prendendo questa decisione il regime politico della Russia abbia compiuto un passo decisivo verso una dittatura”. Il premio assegnato dal parlamento europeo nasce dalla stessa valutazione.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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