Cosa può fare la diplomazia quando tutto va male? Può fare la sua parte, certo, ma organizzare vertici internazionali non è sufficiente per risolvere i problemi profondi e strutturali della nostra epoca.

Ne avremo la dimostrazione nei prossimi giorni, con due appuntamenti importanti: il vertice del G20, il gruppo delle venti principali economie del pianeta che si riunirà sabato 30 ottobre e domenica 31 a Roma, e poi la Cop26, in programma dal 31 ottobre a Glasgow. A Roma emergeranno le tensioni economiche e soprattutto geopolitiche del momento, mentre a Glasgow si parlerà naturalmente del clima, un problema sempre più impellente.

Normalmente ci si aspetterebbe che i due appuntamenti, previsti da tempo, offrano l’occasione per fare passi avanti decisivi: sulle tensioni sino-americane che prendono una piega pericolosa nello stretto di Taiwan, sulla corsa agli armamenti o sul surriscaldamento climatico sei anni dopo gli accordi di Parigi, i cui impegni non sono stati rispettati quasi da nessuno.

Ma affinché la diplomazia funzioni bisogna che tutti i protagonisti siano presenti, e i due vertici in questione saranno caratterizzati da un’assenza di peso: quella del numero uno cinese Xi Jinping, mentre il suo omologo americano Joe Biden non mancherà.

Il mondo attuale vive una crisi di fiducia che si traduce nella paralisi delle organizzazioni multilaterali

Xi non esce dalla Cina da quasi due anni, ovvero dall’inizio della pandemia. La sua assenza ha cominciato a farsi notare negli ultimi mesi, quando sono progressivamente ripresi i vertici internazionali in presenza, ma senza la partecipazione del leader cinese.

Si tratta di un eccesso di prudenza da parte di un paese con 1,4 miliardi di abitanti che continua ad aggrapparsi alla strategia del “zero covid” e resterà chiuso ancora per mesi? O è soltanto un pretesto sanitario in un contesto di “rettifica politica” sul fronte interno e di scontro sempre più aspro con gli Stati Uniti su quello esterno?

Sta di fatto che Xi mancherà sia a Roma sia a Glasgow, e la dinamica delle discussioni ne risentirà inevitabilmente. Innanzitutto non ci saranno gli incontri bilaterali possibili in questo genere di appuntamenti internazionali (Xi e Biden non si sono ancora visti dopo l’elezione del presidente statunitense, oltre un anno fa), uno strumento decisivo per allentare le tensioni e superare gli ostacoli. Quando il “padrone” è assente, d’altronde, le delegazioni non possono che perdere flessibilità.

Il mondo attuale vive una crisi di fiducia che si traduce nella paralisi delle organizzazioni multilaterali come le Nazioni Unite. Su un tema come il clima si potrebbe sperare che le divergenze ideologiche o le rivalità nazionali vengano messe da parte per l’interesse comune a “salvare il pianeta”, come a Parigi nel 2015.

Ma oggi questo non accade. I rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) indicano che la traiettoria mondiale non permette di rallentare a sufficienza il surriscaldamento. Il segretario generale dell’Onu Antonio Gutteres ha parlato il 26 ottobre a Londra di un “fallimento assoluto” degli stati nel rispettare gli accordi di Parigi, criticando il fatto che siano stati presi impegni per il 2050 e per il 2060 senza però spiegare come saranno rispettati.

È possibile collaborare sul clima quando ci si scontra su tutto il resto? Gli europei vorrebbero crederlo, ma la sfiducia diffusa a livello internazionale ha un grande peso anche sui temi che teoricamente dovrebbero generare un consenso. L’assenza di Xi Jinping sarà il simbolo più evidente di questa impasse, e un cattivo presagio per gli appuntamenti del futuro.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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