Un cavo sottomarino nel Pacifico al centro della nuova guerra fredda
È una di quelle informazioni apparentemente microscopiche che permettono di comprendere un meccanismo ben più vasto: Stati Uniti, Giappone e Australia finanzieranno la stesura di un cavo sottomarino di comunicazione tra le isole di Nauru, Kiribati e la federazione delle isole della Micronesia. Il cavo migliorerà la connessione internet per centomila persone che vivono sparpagliate su decine di isole dell’Oceania.
A priori non sembra un fatto particolarmente importante, ma in realtà il finanziamento estromette una grande azienda, che come avrete indovinato è la cinese Huawei, che è favorita per ottenere un finanziamento dalla Banca mondiale. Washington non intendeva permettere che l’azienda cinese, bandita dalle reti americane, potesse estendere la propria influenza nel Pacifico, soprattutto negli stati della Micronesia legati da accordi speciali agli Stati Uniti e in modo particolare a Guam, dove si trova una base militare americana.
Diplomazia degli assegni
È l’ennesimo segnale del contesto da guerra fredda che coinvolge sempre di più il pianeta nella sua interezza e nello specifico una zona del Pacifico dove l’influenza cinese è palpabile.
Un esempio di questa tensione arriva dalle isole Salomone, più a sud, un arcipelago abitato da 700mila persone che due anni fa ha interrotto le relazioni diplomatiche con Taiwan a beneficio di Pechino, in quella che viene chiamata “diplomazia del libretto degli assegni”. Il mese scorso l’arcipelago è stato scosso da una rivolta e ha dovuto chiedere aiuto all’Australia per ristabilire l’ordine.
L’obiettivo dei manifestanti era il quartiere cinese della capitale, Honiara, parzialmente dato alle fiamme. All’origine della rivolta ci sono le rivalità tra le due isole principali, le difficoltà economiche e anche un disaccordo sulla svolta in favore della Cina e i suoi vantaggi economici, suddivisi in modo diseguale. Le autorità dell’isola di Malaita rifiutano di riconoscere Pechino e restano legate a Taipei.
Spesso reale e a volte immaginaria, l’influenza cinese diventa dunque un fattore divisivo in tutta la regione pacifica. Se n’è parlato anche di recente a margine del referendum del 12 dicembre nel territorio francese della Nuova Caledonia, nel Pacifico del sud, dove ha prevalso il no all’indipendenza.
A loro volta gli Stati Uniti hanno fatto ricorso al libretto degli assegni, e non solo nel Pacifico. Gli occidentali sono stati spiazzati dalla strategia delle Nuove vie della seta cinesi, che passa per la costruzione di infrastrutture finanziate da Pechino e permette alla Cina di estendere la sua influenza su tutti i continenti.
Ora Stati Uniti ed Europa sono passati al contrattacco creando ulteriori fondi destinati a finanziare le infrastrutture. Il congresso statunitense ha approvato un credito da un miliardo di dollari per le isole del Pacifico che comprende anche il cavo sottomarino in questione.
Di recente l’Unione europea ha annunciato un programma chiamato Global gateway (portale globale) dotato in teoria di 300 miliardi di euro, anche se non è chiaro fino a che punto si tratti di fondi nuovi. Gli statunitensi, dal canto loro, hanno lanciato la Build back better world partnership (3BW), un’iniziativa dai contorni piuttosto vaghi. La Cina, in questo campo, ha chiaramente accumulato un vantaggio.
L’emulazione occidentale della Cina sarebbe una buona notizia se almeno avesse come obiettivo lo sviluppo del mondo e non fosse basata solo sulle rivalità tra le potenze. Nell’attesa di vedere come andrà a finire, se l’iniziativa permetterà agli abitanti di Kiribati di comunicare meglio sarà comunque tanto di guadagnato.
(Traduzione di Andrea Sparacino)