Le spie che si stanno accendendo sulla mappa dell’Africa occidentale non promettono nulla di buono. Il 9 febbraio, nell’estremo nord del Benin, nei pressi della frontiera con il Niger e il Burkina Faso, sei uomini sono stati uccisi durante un attacco jihadista, cinque beninesi e un francese. Le vittime beninesi erano guardie forestali di un parco nazionale, mentre il francese, un ex militare di 50 anni, lavorava come formatore per un’organizzazione sudafricana per la tutela dell’ambiente.

Si tratta dell’episodio più grave in un paese dove negli ultimi mesi gli attacchi si sono moltiplicati, nell’ambito di quello che appare chiaramente come un tentativo dei gruppi jihadisti del Sahel di colpire gli stati della costa. Per comprendere la situazione basta osservare una mappa: ci troviamo immediatamente a sud del Sahel, teatro da oltre un decennio dell’offensiva jihadista.

I paesi del golfo di Guinea, in particolare Costa d’Avorio, Togo e Benin, costituiscono i nuovi obiettivi dei gruppi affiliati ad Al Qaeda, che portano avanti la loro missione di destabilizzazione. Nella riorganizzazione del dispositivo militare francese nella regione la difesa dei paesi del golfo di Guinea era già un obiettivo prioritario.

Oltre la risposta armata
Esattamente un anno fa la Dgse, il servizio di sicurezza estero francese, aveva compiuto un gesto insolito. Il capo dell’istituzione, Bernard Émié, aveva preso la parola nel corso di una conferenza stampa per presentare un video senza rivelarne la provenienza.

Nel filmato si vedevano i principali capi di Al Qaeda nel Sahel seduti in cerchio mentre discutevano la loro strategia. Due dei tre leader sono morti in seguito, ma la strategia resta in atto.

In Sahel è mancata soprattutto la risposta politica, e sarà difficile trovarne una nel golfo di Guinea

Bernard Émié aveva spiegato che nel corso di quella riunione era stato concepito il progetto di espansione verso il golfo di Guinea. “Questi paesi sono ormai diventati bersagli, sia per sfuggire alla morsa che stringe i jihadisti sia per espandersi verso sud. I terroristi finanziano uomini che si installano in Costa d’Avorio e Benin”, aveva dichiarato. Questo, come detto, accadeva un anno fa.
L’obiettivo di questa nuova fase della lotta contro il terrorismo è quello di non ripetere gli errori che hanno portato all’attuale impasse nel Sahel e in particolare di non opporre risposte basate esclusivamente sulle armi a una sfida che è per sua natura multidimensionale.

Approfittare dell’instabilità
Questo vale prima di tutto per l’esercito francese, che giustamente ha fissato come priorità quella di difendere i paesi del golfo di Guinea dopo aver preso atto del fallimento politico in Mali. I militari francesi vogliono evitare in particolar modo di commettere nuovamente l’errore di creare un dispositivo tracotante, lontano dai mezzi delle forze locali e bersaglio facile delle critiche nei momenti di tensione.

Ma soprattutto è la risposta politica a essere mancata in Sahel, e trovarne una sarà difficile nel golfo di Guinea. In Benin due celebri oppositori, l’ex ministra Reckya Madougou e il giurista Joël Aïvo sono stati recentemente condannati a pesanti pene carcerarie per “terrorismo”, un’accusa che appare insensata. Numerose voci in Africa e in Francia chiedono la loro liberazione al presidente Patrice Talon, soprattuto in un momento in cui una minaccia esterna rende necessaria l’unità nazionale.

I jihadisti prosperano in situazioni politiche instabili. Questa è la sfida principale per i nuovi bersagli del terrorismo nel golfo di Guinea.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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