Il 10 maggio, visitando la città portuale ucraina di Odessa, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha avuto due sorprese. La prima è stata il lancio di missili russi, che lo ha costretto a mettersi al riparo come fanno tutti gli ucraini a ogni allerta. Sette missili hanno colpito Odessa distruggendo un centro commerciale e provocando una vittima.
La seconda sorpresa è stata più significativa: Michel ha visto silos pieni di grano e mais, 4,5 milioni di tonnellate pronte a essere esportate in un momento in cui il prezzo dei prodotti alimentari sta schizzando alle stelle e si temono carenze se non addirittura carestie. Il problema è che la Russia impone un blocco navale su Odessa: nessuna nave può entrare o uscire dal porto.
È la prima volta dopo la seconda guerra mondiale che il porto di Odessa è completamente fermo, come ha sottolineato l’11 maggio il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj invitando l’Europa ad agire per permettere le esportazioni che potrebbero ridurre il rischio di una crisi alimentare mondiale.
Anche Michel ha chiesto una “soluzione globale” per sbloccare la situazione creata dall’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia né Zelenskyj né Michel hanno indicato in che modo l’obiettivo potrebbe concretamente essere raggiunto.
Odessa, “la perla del mar Nero” secondo un cliché turistico che risale all’epoca degli zar, fa parte degli obiettivi di guerra di Vladimir Putin. Il presidente russo vuole controllare tutto il litorale ucraino sul mar d’Azov e sul mar Nero per creare una continuità territoriale tra le due repubbliche separatiste filorusse del Donbass e la Transnistria, regione della Moldova dove sono collocate truppe russe. Putin ha conquistato quasi integralmente il porto di Mariupol, sul mare d’Azov, ma a Odessa si scontra con una difesa molto organizzata.
Come reagirebbe Putin se la richiesta di togliere il blocco ai cereali gli arrivasse dai paesi affamati del sud del mondo?
Esistono due modi per cancellare il blocco di Odessa. Il primo è un negoziato con la Russia, che dovrebbe accettare di far partire i milioni di tonnellate di grano e mais di cui l’Ucraina è uno dei grandi produttori mondiali. Ma dall’inizio della guerra, lo scorso 24 febbraio, Putin non ha mai fatto concessioni di questo tipo, tranne che per far uscire i civili da Mariupol. Dunque questa pista sembra poco percorribile.
La seconda via è un’azione militare internazionale. Anche in questo caso parliamo di uno scenario altamente improbabile, perché implicherebbe la possibilità di uno scontro con la marina russa. I paesi della Nato non intendono correre questo rischio.
In ogni caso non tutto è stato tentato. Come reagirebbe Putin se la richiesta di cancellazione del blocco arrivasse non dagli occidentali ma dai paesi che hanno più bisogno di prodotti alimentari, ovvero quelli del sud?
L’11 maggio l’Iran ha annunciato un sistema di razionamento del pane a prezzi sovvenzionati. Teheran è alleata di Mosca in Siria e di sicuro non può essere accusata di nutrire simpatie per gli Stati Uniti. Ma l’Iran, come altri paesi, non osa immischiarsi in questa crisi nonostante ne patisca le conseguenze.
Resta dunque l’azione degli ucraini per sbloccare la situazione. L’esercito di Kiev ha già affondato due navi russe nel mar Nero, tra cui la nave ammiraglia Moskva. Davanti all’impotenza internazionale sono gli ucraini ad avere in mano il proprio destino. Probabile che non abbiano ancora finito di stupirci.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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