È scoccata l’ora dell’impunità. Il 2 ottobre 2018 il giornalista saudita in esilio Jamal Khashoggi è stato sequestrato, assassinato e fatto a pezzi negli uffici del consolato saudita di Istanbul. Quattro anni dopo, il 22 giugno, quello che è considerato uno dei mandanti dell’omicidio, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, arriva in Turchia per una tappa importante nel suo percorso di riabilitazione.
Nel 2018 il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan aveva proclamato che la Turchia incarnava “la coscienza internazionale” in quella vicenda, aggiungendo che l’ordine di commettere un omicidio politico sul suolo turco era arrivato “dalle più alte sfere” del potere saudita.
Ma alla fine ha vinto la realpolitik, perché la Turchia ha avuto bisogno di riconciliarsi con l’Arabia Saudita. Sostenuta dai Fratelli musulmani, Ankara si è riavvicinata agli avversari ideologici della regione, come gli Emirati Arabi Uniti (dove Erdoğan si è recato in visita a febbraio) e l’Egitto del maresciallo Abdel Fattah al Sisi, giustiziere degli islamisti. Restava l’Arabia Saudita.
Tutto dimenticato
Il prezzo da pagare è stato l’insabbiamento della vicenda Khashoggi, condizione per la riconciliazione dopo una rottura eclatante. La Turchia, anch’essa spauracchio della libertà di stampa, aveva strumentalizzato la questione Khashoggi per colpire il potere saudita, arrivando a diffondere la registrazione della condanna a morte del giornalista in un consolato pieno zeppo di microfoni. Ma questo accadeva prima.
Per soddisfare Riyadh la giustizia turca ha messo fine al processo in contumacia contro 26 sauditi. Il procedimento è stato trasferito in Arabia Saudita. La seconda tappa di questo percorso è arrivata il 22 giugno, quando il principe ereditario Mbs, come è soprannominato, è stato accolto da un tappeto rosso in Turchia. Tutto è dimenticato, insomma.
La Turchia non è l’unico paese ad aver riabilitato il principe saudita
Bisogna ricordare che la Turchia attraversa serie difficoltà economiche, con una moneta in caduta libera, un’inflazione al 55 per cento e un bisogno disperato di investimenti. L’Arabia Saudita, al contrario, approfitta della guerra in Ucraina e dell’aumento dei prezzi degli idrocarburi, registrando quasi il 10 per cento di crescita nel primo trimestre dell’anno.
La Turchia non è l’unico paese ad aver riabilitato il principe. Ricordiamo ancora la visita del presidente francese Emmanuel Macron in Arabia Saudita lo scorso dicembre, quando è diventato il più importante leader occidentale a stringere la mano del principe ereditario dopo l’assassinio del giornalista.
Macron, comunque, non sarà l’ultimo ad averlo fatto. Anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si prepara a operare una svolta di 180 gradi e a stringere la mano del principe in occasione di una visita in Arabia Saudita in programma il mese prossimo. In questo caso, nuovamente, la ragione è legata alla realpolitik: Biden si era inizialmente rifiutato di parlare con Mbs al telefono e aveva reso pubblico un documento della Cia che evidenziava le responsabilità dirette del principe per la morte del giornalista. Khashoggi, non dimentichiamolo, aveva un passaporto statunitense e scriveva per il Washington Post.
Ma la guerra in Ucraina ha cancellato tutto. Gli interessi strategici americani – petroliferi, di sicurezza e la vicinanza con l’Iran – passano per il regno wahabita. Il prezzo da pagare è stringere la mano del principe e dimenticare i bei discorsi sui diritti umani.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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