Davanti alle immagini che ci arrivano dall’Iran è indispensabile mantenere la prudenza, soprattutto perché mancano resoconti indipendenti e confermati. Ciò non toglie che i brevi video girati dagli iraniani ci mostrano qualcosa di sbalorditivo e sollevano importanti interrogativi sulla prosecuzione della protesta.
Portiamo due esempi. Il primo è l’enorme folla presente ai funerali – che si sono svolti sabato nella provincia del Kuzestan, nella parte sudorientale del paese – di un bambino di nove anni di nome Kian, ucciso mentre era in auto con la sua famiglia. Due civili armati in motocicletta, poliziotti secondo la famiglia, avevano aperto il fuoco sull’automobile, uccidendo il bambino e ferendo gravemente il padre. La morte del piccolo Kian ha suscitato emozioni ancora più forti di quella di Mahsa Jina Amini, che ha dato il via alle proteste due mesi fa.
Il secondo esempio arriva da Mahabad, una città curda nel nord del paese dove si sono verificate scene di guerriglia urbana seguite dalla fraternizzazione tra i manifestanti e i poliziotti in assetto antisommossa che si sono rifiutati di intervenire. Anche in quel caso è giusto interpretare con prudenza, ma si tratta comunque di situazioni inedite.
Il futuro incerto
Le immagini di sfida spuntano un po’ ovunque. L’intera squadra femminile di basket iraniana si è fatta immortalare a capo scoperto ignorando l’obbligo del velo. Altrove una coppia è stata fotografata mentre si baciava tra le automobili. Le barriere continuano a cadere.
Da tutto questo emerge una domanda cruciale: quali saranno gli sviluppi futuri? Dopo due mesi in cui si è passati dalla protesta alla rivolta (verrebbe quasi da pronunciare la parola rivoluzione) il futuro resta incerto.
Il movimento va avanti con slogan sempre più diretti
La repressione è durissima, con oltre 300 morti tra cui una quarantina di bambini secondo gli attivisti per i diritti umani, oltre a 14mila arresti e alle prime condanne a morte. Con il passare del tempo la stretta del regime potrebbe prevalere come già accaduto in passato, ma finora non ha avuto alcun impatto. Il movimento va avanti con slogan sempre più diretti, come “morte al dittatore” rivolto contro la guida suprema Ali Khamenei.
A questo punto si aprono diversi scenari. Considerando le immagini che arrivano da Mahabad, le voci in merito a una spaccatura nel regime e la determinazione dei giovani ma anche dei falchi del governo, non possiamo escludere l’ipotesi di una guerra civile. Già in passato l’Iran di Khomeini ha vissuto diversi periodi vicini alla guerra civile, e se una parte delle forze di sicurezza si schierasse con i manifestanti questa possibilità diventerebbe più concreta.
Ma c’è una seconda opzione. Gli analisti ipotizzano infatti uno scenario “alla pachistana”, ovvero una militarizzazione del potere a scapito del dominio dei religiosi. In questo caso i Guardiani della rivoluzione, braccio armato della repubblica islamica, diventerebbero più nazionalisti che messianici, un vero potere ombra a immagine dei militari pachistani.
Questa svolta militare permetterebbe di fare concessioni sul piano sociale ai manifestanti, in particolare ai giovani delle città, preservando al contempo la realtà del potere politico. Difficile immaginare uno sviluppo di questo tipo fino a quando l’imam Khamenei è in vita, ma un deterioramento della situazione potrebbe far precipitare gli eventi.
Infine bisogna lasciare aperto uno spiraglio, minimo per ragioni di realismo ma comunque esistente, a una vittoria del movimento di protesta. Affinché ciò accada sarebbe indispensabile una profonda rottura degli equilibri attuali e dei rapporti di forze. Ma l’Iran non smette di stupirci, e di sicuro continuerà a farlo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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