Il forum di Davos è simbolo di una globalizzazione superata
Per quasi tre decenni il forum di Davos, città arroccata sulle montagne svizzere, ha segnato il progresso di una globalizzazione efficace. Negli anni novanta è a Davos che ho compreso l’impatto della rivoluzione digitale. Durante il forum si potevano incrociare Nelson Mandela e Frederick de Klerk, Yasser Arafat e Simon Peres, mano nella mano.
È a Davos che le nuove democrazie dell’Europa dell’est hanno compiuto i primi passi nell’economia liberale, ed è sempre lì che, alla svolta del millennio, i paesi emergenti hanno ottenuto la visibilità che desideravano presso gli investitori di tutto il mondo.
Ma tutto questo non esiste più. Il mondo sognato a Davos, quello della libera circolazione delle merci e dei capitali e quello della tecnologia per il bene comune, si è scontrato con pericoli che non ha saputo o potuto prevedere.
Un errore storico
Il mondo oggi è spaccato e i muri sono tornati. L’edizione del 2023 del forum di Davos si svolge nello stesso continente dove è in corso la prima grande guerra dal 1945. L’ultima iniziativa rilevante di Davos passerà alla storia come un errore. Parlo del tappeto rosso steso davanti al numero uno cinese Xi Jinping nel 2017, presentato come salvatore del libero scambio. Era un gesto comprensibile davanti all’ascesa di Donald Trump, ma anche fuori tempo rispetto all’evoluzione del potere cinese.
Il covid e le rivalità geopolitiche hanno avuto la meglio su un certo modello della globalizzazione. Davos ha accompagnato l’espansione della Cina “fabbrica del mondo”, ma non ha compreso l’esigenza crescente di una regionalizzazione della produzione e di una separazione dalla Cina nel campo delle tecnologie.
Viviamo un momento di inquietante sospensione
Il forum è come un personaggio dei cartoni animati che continua a correre anche quando il suolo sparisce sotto i suoi piedi, prima di capire, ormai troppo tardi, che sta avanzando nel vuoto. La riunione annuale che si svolge in Svizzera resta un’occasione per i leader mondiali di stringere alleanze e scambiarsi informazioni, ma ha perso la funzione di bussola della globalizzazione che aveva ricoperto con piacere e soprattutto profitto.
Paradossalmente i no global che avevano impostato il proprio discorso in opposizione diretta contro Davos hanno vissuto anch’essi un ridimensionamento profondo: la società parallela che avevano creato ha perso slancio.
Viviamo un momento di inquietante sospensione. La globalizzazione è sopravvissuta, ma è più un’eredità degli ultimi vent’anni che una promessa per il futuro. Il cambiamento climatico e la geopolitica hanno cominciato a invertire la rotta.
Il mondo di domani non è ancora chiaro, anche a causa delle forti tensioni attuali. Quale sarà lo stato dei rapporti con la Cina tra tre, quattro o cinque anni? Quale sarà l’impatto delle decisioni – o delle mancate decisioni – rispetto al cambiamento climatico? E, soprattutto, in che modo la guerra in Ucraina e le sue possibili conclusioni influenzeranno il nostro mondo?
Una cosa è certa: non è da Davos che arriveranno le risposte. Resta da inventare la Davos del ventunesimo secolo, meno elitaria, più inclusiva e semplicemente più umana.
(Traduzione di Andrea Sparacino)