Domanda: sapete quale paese europeo avrà l’esercito più potente nei prossimi anni? In condizioni normali la risposta sarebbe la Francia, unica potenza nucleare dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, la cui capacità militare è stata testata nelle operazioni all’estero. Ma le cose cambiano. Se mettiamo da parte il nucleare, l’esercito principale dell’Unione sarà presto quello della Polonia.
È una delle conseguenze dirette dell’invasione russa dell’Ucraina. La Polonia, paese vicino alla zona del conflitto, sta investendo enormemente nella difesa. L’anno scorso Varsavia ha firmato un gigantesco contratto per l’acquisto di armi dalla Corea del Sud: carri armati (ne avrà quattro volte più che la Francia), artiglieria e aerei, per un totale di 15 miliardi di euro. Il mese scorso il governo polacco ha concluso un accordo per l’acquisto di due satelliti di osservazione con la Francia, per 500 milioni di euro.
Il paese dell’ex patto di Varsavia, oggi membro della Nato, vuole avere un peso maggiore negli affari europei, e questo investimento nella difesa lo dimostra. Ma non è l’unica conseguenza della guerra in Ucraina. A cambiare profondamente sono tutti gli equilibri interni dell’Unione, anche se ancora è troppo presto per trarre conclusioni considerando che il conflitto si sta prolungando.
Correggere il tiro
Le conseguenze della guerra sono particolarmente delicate in Germania, paese scosso fin dall’inizio del conflitto dalla necessità di rimettersi in discussione. Al centro del dibattito ci sono la dipendenza dal gas russo, la reticenza a consegnare le prime armi all’Ucraina nel momento del bisogno e l’attuale incertezza sulla questione della fornitura di carri armati pesanti.
Questo sisma geopolitico provoca un malessere rispetto al ruolo della Germania. Berlino non sta rivedendo gli impegni europei, ma a questo punto sono saltati talmente tanti tabù che la coalizione guidata dal cancelliere Olaf Scholz sembra aver perso l’orientamento malgrado la proclamazione di una Zeitenwende, una svolta storica.
I paesi del fronte orientale, più vigili rispetto alle attività di Mosca, hanno capito subito quale fosse la posta in gioco
Il 22 gennaio si celebrerà a Parigi il sessantesimo anniversario della riconciliazione franco-tedesca del 1961, abbinato a un consiglio dei ministri congiunto. Per l’occasione si cercherà di fare in modo che tutto si svolga senza scossoni, ma resta il fatto che alla fine dell’anno il consiglio era stato rinviato in mancanza di accordi sufficienti. Il 22 gennaio bisognerà correggere il tiro, anche se non tutte le questioni in sospeso sono state risolte.
Anche la Francia è in difficoltà. Ognuna a suo modo, Francia e Germania hanno visto le loro certezze crollare il 24 febbraio scorso, giorno dell’invasione dell’Ucraina. La leadership tradizionale dell’Europa non si è dimostrata immediatamente all’altezza perché non era pronta per questa guerra, mentre i paesi del fronte orientale, più vigili rispetto alle attività di Mosca, hanno capito subito quale fosse la posta in gioco.
A un anno di distanza, le conseguenze politiche di questa spaccatura non sono ancora state superate. Il 22 gennaio Emmanuel Macron pronuncerà un nuovo “discorso della Sorbona”, riproponendo la sua visione europea cinque anni dopo averla presentata per la prima volta. Il 18 gennaio Macron ha firmato un trattato di amicizia con la Spagna, mentre il 22 gennaio Parigi e Berlino cercheranno di parlare con una sola voce a proposito dell’Ucraina e dell’Europa.
Queste grandi manovre politiche evidenziano il tentativo di adattarsi al nuovo mondo segnato dalla guerra e soprattutto di preparare l’Europa ai prossimi sviluppi. I rapporti di forza sono cambiati, e quelli di domani andranno forgiati a partire da oggi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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