Tra Parigi e Berlino serve più di un dialogo simbolico
Se i simboli fossero sufficienti per regolare i rapporti internazionali, oggi Francia e Germania sarebbero in totale accordo. Il 22 gennaio l’anniversario del Trattato dell’Eliseo, che sessant’anni fa segnò la riconciliazione franco-tedesca, è stato caratterizzato da grandi manifestazioni di amicizia tra i due paesi storicamente rivali.
I simboli non bastano, ma sono comunque importanti. Il gesto compiuto da Konrad Adenauer e dal generale Charles de Gaulle quando la guerra era ancora vicina fu talmente esemplare che se ne è continuato a parlare fino a oggi, generazione dopo generazione. Sostenere che la costruzione europea abbia portato una pace duratura sul continente è ormai un cliché abusato, ma ora la guerra scatenata dalla Russia ha dato nuovamente senso a questo concetto.
In ogni caso, al di là dell’emozione autentica che il 22 gennaio ha pervaso il grande anfiteatro della Sorbona alla presenza di parlamentari e giovani dei due paesi, è certo che Emmanuel Macron e Olaf Scholz siano consapevoli della necessità di andare oltre i simboli. Entrambi i leader, infatti, si trovano con le spalle al muro.
Revisioni dolorose
Da mesi Francia e Germania non riescono a interpretare il ruolo determinante a cui aspirano. L’incontro del 22 gennaio doveva servire a superare gli ostacoli.
L’invasione russa, che né Macron né Scholz avevano lontanamente previsto, ha sconvolto la loro visione del mondo e ha forzato una serie di revisioni dolorose. Soprattutto in Germania, dove tra l’altro nel momento dello scoppio della guerra stava cambiando la maggioranza al potere.
La prima verifica arriverà con la risposta europea al piano di sovvenzioni messo a punto dagli Stati Uniti
Le esitazioni del cancelliere tedesco davanti alla possibilità di consegnare carri armati Leopard all’Ucraina alimenta da giorni critiche severe. Il 22 gennaio è arrivato un duro attacco dalla Polonia. Alla Sorbona Scholz ha promesso che la Germania invierà all’Ucraina “tutti gli aiuti di cui avrà bisogno”, una frase che lascia prevedere lo sblocco dell’impasse attuale, senza dubbio con l’invio di carri di fabbricazione tedesca da parte della Polonia. Dal canto suo, Macron non ha “escluso” di inviare i carri Leclerc.
La guerra in Ucraina è un test difficile per i leader politici occidentali e per il peso specifico che i rispettivi paesi avranno nel dopoguerra. È una partita che in questo momento si gioca sia in Francia sia in Germania.
La prima verifica arriverà certamente con la risposta europea al piano di sovvenzioni messo a punto dall’amministrazione Biden negli Stati Uniti, percepito in Europa come una minaccia per le industrie del continente. Parigi e Berlino non concordano sulle modalità della risposta europea. All’inizio di febbraio i 27 si ritroveranno per prendere una decisione.
L’Europa vive una situazione simile a quella del 2020, ai tempi del dibattito sul piano di ripresa postpandemica. In quella fase si era arrivati a un accordo solo quando Francia e Germania avevano trovato un’intesa su un prestito comune garantito dai 27. Anche stavolta è assolutamente indispensabile un’armonia tra francesi e tedeschi per opporre una risposta efficace al protezionismo americano. Ne sapremo di più valutando i risultati del vertice di Parigi.
In questo contesto è importante mettere da parte l’immagine della “coppia” franco-tedesca che per anni ha costituito un passaggio obbligato nella narrazione tra i due paesi, perché romanticizza un rapporto che dev’essere politico e realista.
Questa relazione, tra l’altro, poggia su una storia dolorosa e complessa che non bisogna mai ignorare. Il ricorso ai simboli non è superfluo. Come una puntura di richiamo è necessario per avanzare, ma non è sufficiente.
(Traduzione di Andrea Sparacino)